Transcript Don Angelo
ASSOCIAZIONE DI VOLONTARIATO - GUBBIO C/O SANTA MARIA AL CORSO La lettera settimanale di Don A.M.Fanucci ―16 ottobre 2016” www.ilgibbo.it CHIESA E POVERI, UN AMORE LUNGO E PROBLEMATICO (A. M. Fanucci, pro manuscripto. Lezioni alla LUMSA-GUBBIO, anno 1999 ss) Cap. 8 UNA CHIESA FUORI TEMPO GIÀ NELLA PRIMA PARTE DEL SECOLO LUNGO (1800 – 1878) Parte ventunesima PIO IX: UN BILANCIO “FALLIMENTARE” E DIVERSI BUCHI NERI... Tentando di tracciare un bilancio del pontificato di Pio IX sulla frontiera dei problemi più vivi nell’epoca storica che lo ha visto tanto a lungo ai vertici della Chiesa, occorre parlare di un esito fallimentare, al cui interno emergono dei buchi neri di grande consistenza. 8.17.1 Un primo buco nero: l’antisemitismo L’antisemitismo è l’atteggiamento pregiudizialmente negativo nei confronti degli ebrei in quanto ebrei, sostenuto di volta in volta da motivazioni culturali, sociali, politiche, religiose ecc. 8.17.1.1 L’antisemitismo cattolico L’antisemitismo religioso, o antigiudaismo da sempre faceva parte della prassi ordinaria della Chiesa cattolica. Fin dai primissimi tempi i Cristiani, buttati fuori dalle sinagoghe, punzecchiati o anche aggrediti e, a volte, uccisi dall’establishment politico/religioso, gli ebrei che tout court li consideravano degli ‖scismatici‖, risposero con la stessa moneta, sulla scia dell’enfatizzazione di certi incisi dei discorsi di Pietro riferiti dagli Atti degli Apostoli: il non aver riconosciuto in Gesù il Messia atteso da secoli li degradò agli occhi dei cristiani da ―fratelli maggiori‖ (S. Paolo) a ―razza dannata‖(così San Giovanni Crisostomo, fine del IV secolo, nelle sue famose Otto omelie contro gli Ebrei); il fatto di aver coscientemente rifiutato Cristo come dono di Dio fece di loro essere pieni di vizi. Ma soprattutto l’aver crocifisso Gesù di Nazareth li additò per sempre al mondo come I DEICIDI. E S. Agostino, quando gli chiedono perché mai gli Ebrei, pur essendo colpevoli della morte di Gesù Cristo, dovrebbero continuare a rimanere in vita, risponde: come Caino, anche essi continuano a vivere solo a titolo di punizione per il male commesso. E si diffuse una tenacissima leggenda: da quando, con la trappola tesa da Giacobbe ad Esaù in tema di diritto di primogenitura, gli Ebrei divennero gli eredi di Esaù, come i Cristiani lo divennero di Giacobbe, gli Israeliti sono stati dispersi fra tutte le nazioni a testimonianza della loro malvagità e della verità della nostra fede … Di loro è stato detto: ‘non ucciderli’, cosicché la stirpe ebraica resti in vita e dalla sua persistenza tragga incremento la moltitudine cristiana. È la famosissima storiella dell’Ebreo Errante. Nella sua lunga storia però l’antisemitismo cristiano non provocò solo condanne teoriche e leggende metropolitane calunniose, ma anche misure concrete contro gli Ebrei: le principali furono prese subito dopo il riconoscimento della religione cristiana come religione ufficiale dell’Impero Romano (IV secolo), quando Teodosio II di Bisanzio, nel 438, decretò: A nessuno dei Giudei, cui sono interdette tutte le amministrazioni e dignità, concediamo nemmeno di esercitare l'ufficio di difensore di un uomo comune, né di avere l'onore di padre». *** L’antisemitismo cristiano si arroventò con le Crociate, che spesso fecero strage degli Ebrei. Il Concilio Lateranense IV (1215) codificò alcune misure nei confronti degli ebrei: dovevano vestire abiti che li distinguessero dai cristiani, durante il Triduo pasquale non potevano comparire in pubblico, erano esclusi da qualunque ufficio pubblico che comportasse un'autorità sui cristiani; l’interesse al quale prestavano denaro era rigorosamente controllato. Isabella di Castiglia (+1504), col pretesto di dare un’unità anche religiosa alla Spagna da lei unificata politicamente, costrinse gli ebrei a convertirsi al cristianesimo; chi non lo faceva doveva espatriare; 50.000 circa si ―convertirono‖, quasi tutti solo di facciata, 200.000 espatriarono, molti a … Roma. Bernardino da Feltre, un Minore Osservante, nella sue prediche accusava gli Ebrei di tutto e di più, tra i Papi fu Paolo IV che si distinse come persecutore assiduo degli Ebrei Ma il campione dell’antisemitismo religioso fu per eccellenza GIAN PIERO CARAFA, papa col nome di PAOLO IV, efficacemente presentato dall’Enciclopedie Treccani nei termini che seguono Nobile napoletano, titolare di una precoce vocazione religiosa, Gian Piero Carafa studiò con i Domenicani e subito raggiunse Roma per intraprendere la carriera ecclesiastica, protetto dallo zio, arcivescovo di Napoli e cardinale; diciottenne, Carafa fu introdotto alla Corte di Alessandro VI; monsignore nel 1500, protonotario apostolico nel 1501, vescovo di Chieti nel 1503, che raggiunse solo quattro anni dopo, per l’ostilità del governo spagnolo nei confronti della sua famiglia e perché Giulio II l’aveva inviato a Napoli per omaggiare Ferdinando il Cattolico e riscuotere un tributo che non riscosse affatto. Schifato della corruzione che a Roma aveva vissuto sotto Alessandro VI e sotto Giulio II, Carafa avviò innanzitutto la riforma della sua diocesi di Chieti. Ma per lui la riforma non era il doveroso ritorno al vangelo, ma un’autoritaria riaffermazione del potere del vescovo, in un altrettanto occhiuto disciplinamento dei costumi del clero locale, nell’inflessibile punizione irrogata a chi non rispettava il riposo festivo, non praticava i digiuni previsti, non partecipava alla Messa. Istanze che fece valere nel 1513, al V Concilio Lateranense. Inutile dire che dalla sua concezione della riforma della Chiesa era totalmente esclusa la ripresa dell’attività caritativa: quando il Vernazza nel 1513 fondò a Roma il grande Ospedale degli Incurabili, non poté fare alcun affidamento sul potente card. Carafa. Dopo essere stato cofondatore dell’ordine religioso dei Teatini (da Theate, nome latino di Chieti) fu tra i redattori della bolla Exurge Domine, con la quale Leone X scomunicava Lutero. Dopo di che si dedicò interamente a porre un argine repressivo alla diffusione dell'eresia luterana, snobbando i metodi concilianti con i quali molti ecclesiastici di pregio (Giustiniani, Querini, Giberti, Sadoleto, G. Cortese, F. Fregoso, R. Pole) volevano affrontare la questione, giudicò sempre la riforma luterana come l'esito disastroso della cultura filologica ed umanistica, prodromo alla rovinosa fine della Chiesa. Dopo lunghe insistenze Carafa riuscì ad ottenere da Paolo III, con la bolla Licet ab initio del 21 luglio 1542, l'istituzione del tanto invocato tribunale romano del Sant'Uffizio, che centralizzò l'attività delle Inquisizioni locali operanti nella penisola, e ne assunse la direzione, facendone un temibile strumento di ricatto e selezione della classe dirigente ecclesiastica. Eletto pontefice nel 1555, a settantanove anni, col nome di Paolo IV, Carafa nei quattro anni del suo pontificato fece dell'Inquisizione il vero e proprio organo di governo della Chiesa, in un clima di autoritarismo e di controllo sospettoso e rigoroso, su tutto: dall'ambito dottrinale fino a quello politico ed amministrativo; non esitò a costituire addirittura una Congregazione del Terrore degli Ufficiali di Roma, organismo di controllo sull'attività dei funzionari pubblici. Un uomo del genere non poteva che rilanciare la persecuzione contro gli Ebrei, rovesciando il tradizionale atteggiamento di cauta tolleranza seguito dai papi suoi predecessori nei confronti delle comunità ebraiche. E infatti con la bolla Cum nimis absurdum, promulgata subito dopo la sua elezione, istituì il ghetto ebraico di Roma e impose agli Ebrei una serie di divieti e di obblighi: divieto di possedere beni immobili e di esercitare attività commerciali e professionali, obbligo di vendere ai cristiani le proprietà, riduzione al 12% dell'interesse sui prestiti che gli ebrei facevano pagare ai cristiani, obbligo di portare sempre ben visibile un segno distintivo. Poi intraprese una campagna repressiva di grande violenza contro i marrani di Ancona. I marranos erano ebrei convertiti al cattolicesimo. Un gruppo di loro, provenienti dal Portogallo, aveva in mano la vita economica e commerciale di Ancona: convinto che gran parte delle conversioni fossero solo apparenti, Paolo IV li perseguitò con arresti e condanne a morte. Istituì l’Indice Romano dei libri proibiti, redatto con un rigore estremo, indiscriminato e talvolta persino grossolano: un impeto distruttivo di gran parte della cultura europea. Finalmente, dopo una lunga malattia, Paolo IV morì il 18 agosto 1559. In quello stesso giorno il popolo di Roma, oppresso da quattro interminabili anni di cupo rigore inquisitoriale, esplose in un tumulto che vide la folla mutilare la statua del pontefice in Campidoglio, trascinarla per le strade e gettarla nel Tevere; la sede dell'Inquisizione romana, che era nel convento domenicano di S. Maria sopra Minerva, venne assaltata, furono aggrediti e feriti non pochi frati domenicani, vennero fatti fuggire i prigionieri, il palazzo venne incendiato, mentre satire e pasquinate beffeggiavano il papa e la vile e scellerata setta del carafesco (= dei Carafa) seme, setta fin dal ciel negletta. 8.17.1.2 L’antisemitismo di Pio IX L’orribile tradizione che sembrava aver avuto termine con la morte di Paolo IV, in realtà riprese rapidamente vigore e con Pio IX ebbe il … posto d’onore che meritava. Nel clima culturale antisemita, che al suo tempo stava rapidamente crescendo e che nel secolo successivo, con i campi di sterminio di Hitler, avrebbe raggiunto il suo pauroso acme, Pio IX si distinse per la puntigliosità con la quale vigilò a che le pesanti limitazioni da secoli inferte alla libertà degli Ebrei venissero puntualmente fatte rispettare. E quando, nel 1870, le truppe italiane liberarono gli Ebrei romani dal ghetto, Pio IX continuò ad insegnare che dare uguali diritti agli Ebrei era un errore, perché essi da sempre formavano una setta del male, da sempre aspiravano a danneggiare i cristiani, agli Ebrei interessavano solo i soldi e avrebbero fatto qualsiasi cosa per averli: controllavano la stampa e le banche, sempre pronti a vendere il loro paese al nemico. Gubbio,11 /10/ 2016 don Angelo M. Fanucci, Canonico Penitenziere e Rettore di Santa Maria al Corso *** COME, QUANDO, PERCHÉ E A CHE SCOPO NACQUE LA COMUNITA’ DI CAPODARCO 13 da ANGELO MARIA FANUCCI, La logica dell’utopia. Quando nacque la comunità di Capodarco Assisi Cittadella Editrice 1998 Capitolo sesto NEL CUORE DELLA POLITICA , NEL CUORE DELLA CHIESA (5) Nel cuore della società Si lavorava senza posa, comunitari e volontari insieme, gomito a gomito, tutto il giorno; si discuteva e si approfondiva a non finire, persino durante il lavoro, anche se il lavoro non poteva ridursi ad hobby, pena …il salto di pasti, come si evince da un preciso comma in Archivio della Comunità di Capodarco, 1967. Relativizzazione della categoria dell'invalidità, primato dell'uomo, partecipazione, condivisione, libertà, pluralismo, essenzialità, umanizzazione del lavoro, accoglienza, fiducia, Erano i connotati generali della nuova sondò sognata da tutti i giovani migliori di allora, comunisti, democristiani, anarchici...: prima ancora che ai loro occhi essa assumesse contenuti politici specifici, diversi, la nuova società aveva quei lineamenti di fondo. Ebbene, nel microcosmo dì Capodarco era possibile andare oltre il sogno, sperimentare l'utopia della nuova società, avvertire le vertigini di chi ha messo a fuoco il DNA dell'evoluzione sociale. E sulla scia di questa convinzione si parlava di periferie metropolitane e di profondo Sud, là dove l'emarginazione era ancora più... emarginante. Certo, a volte se ne parlava quasi come di un... corollario alle dinamiche comunitarie, con un'indubbia componente di integralismo ingenuo. La comunità come panacea. Ma a me, a distanza di 28 anni da quando anche io per grazia di Dio rimasi impigliato in quella rete, sembra che il modulo giusto per cambiare il mondo fosse proprio quello. Era quello il DNA del cambiamento autentico. Quell'affinare giorno dopo giorno i concetti più liberanti, in sinergia stretta col portare giorno dopo giorno il peso dell'emarginazione con i più emarginati. Se mille, diecimila, un milione di altre realtà consimili avessero fatto nel proprio settore cose analoghe a quelle che fece Capodarco nel proprio, come sarebbe oggi l'Italia? Analoghe, non identiche. Non realizzate con la carta carbone, ma obbedienti allo stesso DNA. Nel cuore della Chiesa In merito a questa seconda parte del capitolo, ho cercato di chiarirmi le idee in un dialogo a ruota libera intercorso con don Franco, a Roma, il 31 marzo 1987. Capodarco intendeva anche essere Chiesa. Anzi, nel cuore della Chiesa. La celebrazione e la proclamata centralità della Messa quotidiana, per quanto la frequenza ad essa non fosse . obbligatoria, ne era la conferma più evidente6. Nel 1969 sarà ufficialmente assunto il nome di Centro Comunitario Gesù Risorto e lo scopo sociale della nuova associazione sarà individuato nella crescita umana e cristiana dei suoi membri, come recitalo Statuto del Centro Comunitario Gesù Risorto, nell’Archivio della Comunità di Capodarco, 1969. Quasi tutti i comunitari erano credenti, quasi tutti quelli che vennero a dare una incuto erano d'estrazione cattolica, spesso di attiva militanza, e cercavano esperienze che coniugassero rigore ideale e concretezza operativa, numerosissimi, generosi, ingenui, armati della grande utopia della Chiesa dei poveri, affascinati dal lavoro manuale, innamorati delle culture esperienziali e pluraliste. Quale proposta di Chiesa trovavano a Capodarco? Non certo quella della quale avevano fatto esperienza molti invalidi negli istituti retti da Religiosi: oscillante fra strumentalizzazione del dolore e autoritarismo bigotto. Una Chiesa caricaturale, cucita su misura per gli invalidi. Quale Chiesa: ancora un testimone non previsto Quale Chiesa coglieva a Capodarco un cattolico acuto come SANDRO MAGISTER, futura grande firma de L'Espresso? Per ora scrive su Settegiorni, il bel settimanale della sinistra democristiana, nel numero 206, 23 maggio 1971, a pag 16 e 17 parla di Capodarco come de LA COMUNE DEI RISORTI, un titolo che piacque moltissimo in Comunità. Magister commenta una serie di foto, affidandosi a parole che ha colto sulla bocca di don Franco e di altri comunitari. Egli si preoccupa innanzitutto di far capire che siamo in un contesto inaudito, un piccolo progetto alternativo di società: la speranza per tutti. Perché ogni estate centinaia di giovani vengono qui a lavorare come volontari? Li convince il progetto di una società in cui nessuno si veda respinto nel limbo dei senza-speranza. Centrata sull'Uomo: l'identificazione del problema dell'handicappato col problema dell'uomo. A Capodarco non si lotta per il recupero degli invalidi:il problema dell'emarginazione degli invalidi è il problema dell'emarginazione dell'uomo. Strutturalmente aperta: contro ogni tentazione di isolamento-rivalsa: dal momento che si trattava di costruire praticamente tutto da zero, senza modelli di riferimento e senza un progetto iniziale a lunga scadenza, per i primi componenti della comunità era forte la tentazione di fabbricarsi un ghetto dorato, chiudendo definitivamente il conto con la società che li aveva respinti. In questo contesto, quale Chiesa coglieva il futuro vaticanista de L'Espresso? Povertà e utopia Magister, come tutti noi, esaltava la povertà e l'utopia come nuove virtù ecclesiali; a Capodarco, le vedevamo, lui e noi, incarnate nella trama dell'ordinario e sentite come forza per il futuro: Un'esperienza sorta nella povertà più totale, condotta costantemente sul filo dell'utopia, vincendo l'ostilità dei centri di assistenza tradizionali, la diffidenza dei teorici più avanzati, l'incredulità dei profeti di sventura. Un'esperienza la cui carica, dopo oltre quattro anni dall'avvio, è tutt'altro che in esaurimento: al punto che oggi, anzi, i cento componenti della "comune" già pensano a un nuovo progetto. Un abitare insieme rivoluzionato Fammi vedere ciò che tratti come provvisorio, e ti dirò quali sono i tuoi valori veri. A Capodarco i locali che più dànno il senso della provvisorietà, del non rifinito, sono proprio quelli che il visitatore si attenderebbe di trovare al meglio della sistemazione: le camere; anche quelle delle coppie di sposi che qui si sono formate; sono ancora tutte arredate con mobili di fortuna, al limite dell'indispensabile.. Pare proprio di vedere una delle coppie-tipo, di quelli che noi preti chiamiamo i nostri bravi ragazzi: non si sposano finché non hanno l'appartamento con il parquet nuovo, il lavoro supergarantito, un conto in banca felicemente avviato...; a Capodarco... tanta enfasi sui tre matrimoni del secolo, e poi la valigia di cartone, con lo spago tutt'intorno, in bella mostra di fronte al letto matrimoniale. Ma dietro c'è un che, e non è un che da poco: le costruzioni cui è stata data la maggior parte dell'impegno della collettività sono quelle che ospitano i tre laboratori-scuola: di maglieria, di ceramica, di elettronica, che differiscono solo in alcuni particolari da quelli in dotazione presso un normale stabilimento del settore. La reinvenzione della liturgia Non tutti gli ospiti sono credenti, ma nessuno manca alla parte iniziale della Messa, la liturgia della parola. Un canto, due letture bibliche, e poi la riflessione comune, aperta ai contributi di tutti. Senza una fede (anche se non tutti di noi hanno la fede), ci sarebbe impossibile andare avanti, dicono. «Chi non mangia — diceva a volte don Franco — passa il pane agli altri». Solo quando la fede diventa determinante, la comunità si divide. Al termine della liturgia della parola una decina di giovani lascia la stanza. Un espediente di piccolo cabotaggio per rendere la Messa più attraente (o più digeribile)? No. Piuttosto la coniugazione del rispetto per la coscienza individuale con la convinzione che la Bibbia, che per alcuni (i chiamati) ha valore normativo assoluto, per tutti è un enorme stimolo culturale per cogliere la profondità autentica della vita. Un modo radicalmente nuovo d'intendere la fede Quella reinvenzione della liturgia per molti di coloro che sono a Capodarco è la proiezione della reinvenzione della fede, alla quale sono stati costretti dal fatto di aver avuto, della fede «tradizionale», un'esperienza traumatica: «Molti dei giovani che incontro qui a Capodarco sono passati attraverso l'esperienza buia dei Centri volontari della sofferenza. Anche don Franco, prima studente in medicina, poi fattosi prete, insegnante di filosofia, e, infine, dedicatosi completamente — assieme ad altri due preti marchigiani, don Ermanno e don Graziano — alla sua comunità, ha conosciuto di persona l'attività dei Centri. "La nostra esperienza — dice — un deciso no alla mistica della rassegnazione. Pretendere di imporre agli invalidi una spiritualità loro esclusiva, impostata sull'idea della croce e dell'espiazione, significa ancora una volta ricacciarli, escluderli in un loro mondo a parte"». Non hanno potuto scegliere, non hanno potuto puntare sulla fede come speculazione pacificante, sono stati come costretti alla fede come fermento di vita, «I giovani di Capodarco non credono più nella beneficenza, negli enti, nei progetti di legge, in molte promesse della società. Eppure "credono", con una fede violenta, che a un estraneo può apparire quasi folle, alla possibilità di una umanità nuova. Non stanno ad attendere che questa umanità nasca per dono del ciclo. Hanno già atteso fin troppo...». Lo sfondo globale:un futuro da costruire per tutti Il loro intento è di diventare una spina nel fianco del mondo, un cuneo che costringa la società a rimodellarsi, a misura di tutti, anche dei più deboli. L'obiettivo finale è il ritorno nella società. Un ritorno, però, che vuole essere in qualche modo creativo. "Il nostro intento non è quello di fare una sorta di corporazione degli invalidi. Il mondo per il quale lottiamo è un mondo in cui validi ed invalidi possono lavorare insieme. È un mondo, questo, che ancora non esiste? Sarà anche vero. Ma noi crediamo che sia possibile costruirlo. È questo il progetto audacissimo di cui a Capodarco si parla, ormai, ogni giorno. Una 'comune' di invalidi e sani assieme, che gestisca delle fabbriche a misura d'uomo', in cui tutti possano scoprire in sé il mistero di donarsi agli altri. Non si tratta, insomma, di attendere rassegnati che il mondo — il mondo della repressione e dell'esclusione cambi. Si tratta di incidere nella presente società, fin da ora, proponendole un diverso modello di collaborazione umana, e obbligandola a confrontarsi con questo modello. Capodarco è un po' un ritiro nel deserto, prima di questo salto. Ma anche le fabbriche autonome di cui a Capodarco si fanno i progetti (il primo nucleo sorgerà forse tra breve nei pressi di Roma) non saranno che un obiettivo intermedio di una meta ancora più audace. Dovremo stare attenti a non ricostruire un sistema a nostro uso e consunto, estraneo alla società. Le fabbriche che impianteremo dovranno porsi come modello per la società. L'obiettivo finale è che nella società intera il lavoro si riorganizzi in modo tale da non escludere nessuno dalla possibilità di rendersi utile, di donarsi agli altri"». La conclusione, Magister l'affida ad Alvaro Mizzau, il non vedente che per qualche tempo fu uno dei teorici della Comunità: la povertà estrema dell'invalido è la povertà estrema dell'uomo, e consiste nel «non essere più in grado di donarsi all'altro: perché questo è l'uomo». Già, questo è l'uomo: oblatività. Ne aveva capito la decisiva importanza Simone Weil, egregiamente presentata nel volume che nel 1990 le ha dedicato Gabriella Fiori; e lo aveva dimostrato quando, ventenne, aveva elegantemente aggirato chi voleva discutere con lei di Dio, collocando l'essere di Dio totalmente altrove rispetto all'essere dell'uomo: Il bene... è il movimento tramite il quale ci si strappa a se stessi come individui, ossia come animali, per affermarsi uomini, cioè partecipi di Dio. 17.continua ********************************************************************************* ********************************************************************************* ********** CREDERE, OGGI Giovani teologi si cimentano con il secolare pensiero della Chiesa.Bocciolesi presenta colui che,prima del Concilio e nel Concilio, mise a punto il concetto autentico di Tradizione: IVES CONGAR, la sua personalità, il suo ambiente culturale E arriviamo al teologo che ha centrato la soluzione del problema Tradizione, Yves Congar, O.P. 3.1 Le Saulchoir: una scuola di teologia Prima di iniziare a parlare della vita e dell’opera del teologo Yves Congar e della soluzione che egli ha dato al problema Tradizione, è bene delineare il background culturale nel quale egli ha operato: la scuola di teologia che lo ha visto nascere e formarsi come teologo e che lo ha educato a quella ―riforma‖ coraggiosa del sapere teologico in continuità con la grande Tradizione della Chiesa. Una riforma nella Chiesa vuol essere quella di Congar, scrive: Una riforma non è una rivoluzione, perché rispetta la continuità; ma è ben altro che una restaurazione, perché non si accontenta di ristabilire solo ciò che c’era “prima”. Se trovassi solo conformismo, al presente non ci sarebbe nessuna riforma. Se io pensassi ad una rivoluzione, questo non farebbe la riforma della Chiesa. Bisogna conservare la nostra fedeltà cattolica, ma non una fedeltà pigra, una fedeltà che si arresta alla forma che le cose oggi rivestono. È necessario che la mia fedeltà, radicata saldamente nelle origini, si apra al domani, in una parola, assuma la dimensione del tempo. Il 1907, anno in cui fu emanata l’enciclica Pascendi contro il modernismo, imboccava la direzione opposta a quella retrograda dell’enciclica papale Le Saulchoir, lo scolasticato dei domenicani di lingua francese, prima in Belgio (a Kay, vicino a Tournai, poco distante dal confine francese), dove aveva dovuto trasferirsi quando, nel 1903, le congregazioni religiose erano state espulse dalla Francia, poi, decaduto il decreto d’espulsione, di nuovo nella Francia del nord, vicino ad Evry, in un antico convento cistercense. 3.1.1 Quale scuola La scuola era diretta dai padri domenicani ed era stata istituita per continuare la grande tradizione tomista. L’ordine domenicano aveva aperto fin dal 1300 una scuola teologica a Parigi, nel convento di Saint Jacques, dove avevano insegnato docenti del calibro di Alberto Magno e Tommaso d’Aquino. Dopo lo splendore dei secoli XIII e XIV lo studium aveva finito per adagiarsi e per implodere su se stesso. La nuova scuola, ormai riorganizzata e retta da p. Marie Dominique Chenu, pur mantenendosi estranea al modernismo che in quel periodo imperversava in Europa, intraprese quella ―riforma della teologia‖ che era indilazionabile in un momento in cui la controversia modernista imponeva alla Chiesa un cambiamento di ampio spettro. 3.1.2 Con quali intenti di fondo La riforma della teologia perseguìta a Le Saulchoir si muoveva lungo alcune linee direttrici: innanzitutto propugnava IL PRIMATO DEL DATO RIVELATO, che doveva costituire sempre e comunque l’anima di ogni speculazione teologica; Da tempo ormai la speculazione teologica aveva preso il sopravvento sulla fonte viva della teologia che è la Rivelazione, la quale veniva spesso mortificata, non considerata a sufficienza e citata come controprova delle tesi di S. Tommaso. al tempo stesso promuoveva L’ASSUNZIONE DELLA CRITICA BIBLICA E STORICA COME STRUMENTO DELLA TEOLOGIA: era l’unico modo per aderire il più pienamente possibile al dato teologico che matura e cambia nel corso del tempo secondo un’economia progressiva della Rivelazione che è tutta da indagare. Solo una teologia che ha il senso della storia può affrontare nel modo giusto lo sviluppo dogmatico, una storia dei dogmi e delle dottrine cristiane senza paure e diffidenze ma, al contrario, sapendo apprezzare l’effetto temporale di una fede che si mantiene intatta nei secoli. Agli antipodi, il fissismo di certa teologia neoscolastica partiva, invece, dal carattere di assolutezza della verità cristiana e ne deduceva affermazioni assolute e definitive che finivano solo per maltrattare la storia e per non considerarne a pieno la portata. In terzo luogo la teologia di Le Saulchoir era UNA TEOLOGIA TOMISTA APERTA ED ESSENZIALE, non dottrinaria né chiusa nel suo contento essenziale,e per nulla barocca e ripetitiva nelle proprie formulazioni e deduzioni. Il suo era un tomismo che accettava le problematiche del tempo presente. 3.1.3 Tommaso d’Aquino al posto giusto Il culto tributato a S. Tommaso d’Aquino come teologo sommo aveva provocato grandi danni alla qualità della ricerca teologica proposta dai manuali neoscolastici: ci si limitava ad estrarre dai testi dell’Aquinate un apparato, filosofico più che teologico, molto definito, che sacralizzava quei testi ma molto spesso lasciava in ombra il centro più profondo del pensiero del loro autore e della sua teologia. Questo perché i manuali neoscolastici detemporalizzavano la dottrina di S. Tommaso, slegandola dalla storia e proponendola come una specie di metafisica sacra. A Le Saulchoir venivano applicati allo studio di Tommaso D’Aquino i metodi che nelle università venivano utilizzati per la storia della filosofia o della teologia. In tal modo le opere di Tommaso perdevano lo statuto di testi ―sacri‖, venivano considerate alla stregua di altre grandi opere teologiche e diventavano molto più feconde proprio perché criticabili e interpretabili.‖ Tornare a S. Tommaso‖ significava tornare alla sorgente per abbeverarsi ad una fonte sempre fresca, cercando di cogliervi il cuore delle sue grandi riflessioni filosofiche e teologiche, non per approdare a confermare conclusioni già fin troppo definite e ripetitive, ma per andare al di là di esse, verso nuovi lidi dell’esperienza di Dio infinito e misericordioso. 3.1.4 Il mondo, luogo teologico Essenziale nel cammino teologico di Le Saulchoir era la costante attenzione al presente, al mondo del proprio tempo, perché il dato rivelato del quale la Chiesa è al servizio deve diventare esperienza attuale: il cristianesimo è chiamato per sua natura a misurarsi con i problemi reali del mondo e degli uomini di ogni tempo, disposta non solo a dare, ma anche a ricevere: in questo senso il mondo diventa un luogo teologico. La teologia non può essere una cittadella fortificata, bella, ma isolata dal contesto. La sua compiutezza formale non la esime da un confronto franco con gli uomini d’oggi, anche se esso risulterà di certo estremamente complesso. 3.1.5 Fourvière A più di 500 km a sud di Parigi, a Fourvière, collina che domina la città di Lione, nel sud della Francia, vive e vegeta l’altra scuola teologica, sorella di Le Saulchoir, anche se condotta non da padri domenicani, ma da padri gesuiti: accomunate dalla denominazione écoles de nouvelle theologie, dovuta alle censure degli ordinamenti romani, esse dapprima verranno frantumate (―sdirazzate‖) d’autorità, disperdendo i loro esponenti nella più diverse case dei due ordini religiosi, poi, con Giovanni XXIII, saranno uno dei punti di riferimento essenziali per il Concilio Ecumenico Vaticano II, al quale i loro esponenti verranno chiamati come ―esperti‖: autentiche stelle dalla teologia veramente nuova, nel senso più positivo, e non nel senso spregiativo che a quel ―nuovo‖ avevano attribuito i ciechi censori romani. Chenu e Congar per Le Saulchoir, Danieloue de Lubac per Fourvière. Caro lettore, la mia Comunità di Capodarco dell’Umbria è in drammatica difficoltà economica, grazie alla mia collaudata insipienza gestionale, ma anche (anche) a comportamenti di natura vessatoria da parte di settori dell’Ente Pubblico. BONIFICO BANCARIOCCB Intestato a COMUNITÀ DI CAPODARCO DELL’UMBRIA, C/O UNICREDIT BANCA, PIAZZA 40 MARTIRI 06024 GUBBIO PG IBAN IT90H0760103000001032097246 VERSAMENTO POSTALE CCP n.1032097244 intestato a Comunitàdi Capodarco dell’Umbria. Causale: DONAZIONE PER RILANCIARE LA CdCdU