La rassegna di oggi

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RASSEGNA STAMPA CGIL FVG – martedì 3 marzo 2015
(Gli articoli di questa rassegna, dedicata prevalentemente ad argomenti di carattere economico e sindacale, sono scaricati
dal sito internet del quotidiano. La Cgil Fvg declina ogni responsabilità per i loro contenuti)
Indice articoli
REGIONE (pag. 2)
La disoccupazione vola al 9,4% (Gazzettino)
L’assessore ammette: «Emergenza da rivedere» (M. Veneto e Gazzettino, 2 articoli)
Le aziende “accelerano” la crisi per assumere con nuove regole (M. Veneto, 2 articoli)
Computer e lavagne interattive: scuola friulana fanalino di coda (M. Veneto)
Il nuovo bonus per i poveri vincolato a un “patto sociale” (M. Veneto)
La carica dei 1.321 candidati della Cgil (Piccolo)
Pubblico impiego, 70 mila alle urne (M. Veneto)
Rsu, la Cgil mette in gioco oltre mille candidati (Gazzettino)
CRONACHE LOCALI (pag. 11)
Cinquanta portuali a rischio per una lite sui giubbotti (Piccolo Trieste, 2 articoli)
«Ferriera, pronti a chiudere l’area a caldo» (Piccolo Trieste)
Regione a IdealScala: il piano entro un mese (Gazzettino Pordenone)
Germacar via Prasecco Nome storico da salvare attraverso il concordato (Gazzettino Pordenone)
Lavinox, c’è il via libera all’affitto per 4 mesi (M. Veneto Pordenone)
A Roveredo si fa il punto sulla vertenza Ovvio (M. Veneto Pordenone)
Mercatone Business, oggi il vertice in Regione (Gazzettino Udine)
Ospedale, il pronto soccorso “scoppia” (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
REGIONE
La disoccupazione vola al 9,4% (Gazzettino)
Riccardo De Toma UDINE - L'Istat rivede al ribasso i suoi conti sul lavoro. E il Fvg, mentre l'Italia
saluta un primo, lieve recupero dell'occupazione, si scopre più in crisi di quanto pensasse. Già, perché
le cifre del quarto trimestre forniscono un dato quasi choc sugli occupati, meno di 486mila, e sui
disoccupati, che per la prima volta nella storia sfondano il muro dei 50mila.
Doccia fredda. Se il mercato del lavoro sembrava tenere, sia pure lontano dai numeri quasi da piena
occupazionedel periodo pre-crisi, con le ultime cifre la realtà si presenta decisamente più cruda. E non
soltanto perché il tasso di disoccupazione, negli ultimi tre mesi dello scorso anno, ha avvicinato per la
prima volta la doppia cifra, quella soglia psicologica del 10% che per la nostra regione sembrava
ancora lontana. A preoccupare è la continua flessione degli occupati, più grave di quanto sembrasse
prima dei dati diffusi ieri: l'Istat, infatti, ha rivisto al ribasso anche i dati degli anni precedenti. E il Fvg,
che pensava di viaggiare attorno a 500mila occupati, scopre che in realtà il dato medio, nel 2014 come
nel 2013, è di 495mila. E che da ottobre a dicembre, come detto, è sceso sotto quota 486mila.
Come eravamo. Se il parametro di riferimento per misurare gli effetti della crisi sono i 522mila posti
del 2008, la perdita si avvicina dunque ai 30mila posti, e sarebbe molto più pesante se il dato del 4°
trimestre dovesse stabilizzarsi. È la conferma, purtroppo, dell'assenza di segnali di ripresa, quantomeno
sul fronte delle assunzioni, come del resto evidenziato anche dalle varie indagini congiunturali delle
principali associazioni di categoria, Confindustria, Confcommercio e organizzazioni artigiane.
Controtendenza. Nonostante l'impennata al 9,4% di fine 2014, il tasso di disoccupazione resta
abbondantemente al di sotto della media nazionale, in discesa (lieve) al 12,6%, ma per la prima volta
nel 4. trimestre era invece del 9,1%. Solo il Piemonte col 12%, la Liguria con l'11,2% e la Val d'Aosta
con il 10,2% mostrano un tasso più alto di senza lavoro. Vanno molto meglio il Veneto, dove la
percentuale dei senza lavoro è del 7,7%, e soprattutto il Trentino Alto Adige, dove si colloca addirittura
al 6,3% (con un dato quasi pre-crsi del 4,5% in provincia di Bolzano). Fvg tra gli ultimi a settentrione
anche per numero di persone attive, cioè occupate o in cerca di occupazione: il tasso di attivi scende
infatti al 68,4%, il più basso del nord assieme a quello della Liguria. Discorso simile per la percentuale
di occupati nella fascia 15-64 anni: penultimo il Fvg col 61,8%, ultima a nord la Liguria col 60,5%.
Maschi e femmine. La disoccupazione aumenta tra gli uomini, con quasi 28mila disoccupati, 9mila in
più rispetto al quarto trimestre del 2013. Calano invece di oltre 2mila unità le donne in cerca di lavoro,
poco meno di 23mila. Vicini i tassi di disoccupazione di genere: tra le donne siamo al 9,9%, tra gli
uomini al 9,1%, in aumento di ben 3 punti sul 2013.
L’assessore ammette: «Emergenza da rivedere» (M. Veneto e Gazzettino)
di Anna Buttazzoni TRIESTE Il Piano dell’emergenza sanitaria va rivisto, perché negli ultimi vent’anni
non è mai stato modificato. Ma quel sistema riguarda l’intero Friuli Venezia Giulia e l’organizzazione
del personale, che è aumentato (come mostra la tabella). Nel caso specifico, invece, quello dei ritardi
nei soccorsi a Ponteacco (Valli del Natisone) e della morte del 47enne Erik Tuan – su cui indaga la
Procura –, l’assessore alla Salute Maria Sandra Telesca non ha cedimenti. Lei non avrebbe sospeso il
servizio di ambulanza in partenza da Cividale. E vuole sapere di chi è stata la decisione. Per oltre tre
ore l’assessore e Mauro Delendi, commissario dell’ospedale di Udine e dell’Azienda per i servizi
sanitari “Friuli centrale”, sono finiti sul “banco degli imputati”. A “interrogarli” o a sostenere la loro
“difesa” ci hanno pensato i consiglieri regionali riuniti in III commissione. Dall’Aula non esce «il
corpo da far penzolare da un patibolo» come ben riassume Giovanni Barillari (Misto). Escono, invece,
la ruvidezza del confronto tra consiglieri di centrosinistra e centrodestra e la consapevolezza che il
sistema dell’emergenza va ridisegnato. La doppia inchiesta interna Telesca comunica che sul caso di
Cividale sono avviate due indagini dall’amministrazione regionale, mentre un fascicolo è anche stato
aperto dalla magistratura. Entrambe interne. Una è partita d’ufficio, dalla Regione, come da protocollo.
L’altra è stata ordinata dall’assessore. Che ha scritto una lettera a Delendi chiedendo i dettagli
dell’accaduto. «Perché – spiega Telesca – più volte ho sollevato le criticità dell’emergenza nelle Valli
del Natisone». A conferma l’assessore produce uno scritto firmato dal direttore del 118, Elio Carchietti,
e dai sindaci di San Pietro al Natisone, Mariano Zufferli, e di San Leonardo, Antonio Comugnaro, nel
quale relazionano l’assessore sulla ricognizione fatta nelle Valli per individuare un sito adatto a
ospitare un’ambulanza e due possibili zone per l’atterraggio dell’elisoccorso. «Ho chiesto
un’approfondita verifica sul caso di Ponteacco – spiega Telesca –, perché una situazione del genere non
deve più ripetersi. L’ambulanza il giorno dopo è stata ripristinata e sicuramente il servizio non sarà più
sospeso. Ma voglio che vengano individuate le responsabilità, anche perché l’ospedale di Udine ha
quattro infermieri in più rispetto al 2013, in controtendenza rispetto alle altre aziende». La relazione di
Delendi Il commissario assicura che la sospensione dell’ambulanza è un fatto che dal 2010 al 25
febbraio 2015 non si è mai verificato prima. Non solo. Spiega che la procedura è stata eseguita come da
protocollo e riporta gli orari dell’intervento richiesto per Tuan. «Il 118 è stato chiamato alle 20.13, alle
20.15 è stata attivata l’ambulanza – ripercorre il commissario – che è arrivata sul posto alle 20.40. Alle
20.30 a casa Tuan, invece, c’era la guardia medica, tra l’altro uno dei migliori professionisti di quel
servizio». Delendi fa sapere anche che, attuando la riforma, sta lavorando per fare in modo che il
personale del 118 sia unico tra Udine e Cividale e che il personale di 118 e Pronto soccorso siano
separati. L’attacco di Forza Italia Il capogruppo Riccardo Riccardi e il consigliere Roberto Novelli non
ci stanno. Novelli pone una lunga serie di domande sull’organizzazione e sul personale dell’ospedale di
Cividale, cui Telesca non replica spiegando che sono quesiti dei quali sta attendendo risposta (Novelli
annuncia quindi che ripresenterà le domande in un’interrogazione). È Riccardi a mettere giù la
questione politica. E incalza Telesca. Le chiede se il sistema è in sicurezza, chi è che non si è accorto
che la questione doveva essere risolta prima del 25 febbraio e perché l’ambulanza è arrivata con sette
minuti di ritardo rispetto ai 20 previsti dal protocollo Stato-Regione. Poi picchia: «Il sistema, secondo
alcuni operatori della sanità, non tiene. Voglio sapere qual è la sfera delle responsabilità, è tecnica? Se
non è così è evidente che la responsabilità è politica, dell’assessore». Lo scontro con Paviotti Sotto
accusa finisce la frase di Novelli su Telesca e Delendi che giocherebbero a roulette russa con la salute
dei cittadini. L’assessore chiede le scuse – con voce rotta dalla tensione –, mentre il capogruppo dei
Cittadini Pietro Paviotti rincara la dose. «Novelli ha sbagliato tutto, quelle domande poteva farle a
Renzo Tondo quando governava e quella frase è volgare e grave. Non si usa la vita delle persone per
fare politica», grida Paviotti a Novelli. La replica? «Vergognati. Quelle domande a Tondo le ho fatte».
L’atmosfera è cupa, serve tempo per riprendere la calma. E servirà tempo per sapere cosa non ha
funzionato il 25 febbraio a Ponteacco. E chi ha sbagliato.
«Non basta assumere ora si riorganizza tutto»
TRIESTE - «I numeri da soli non dicono niente. Occorre verificare dove si trovi oggi come oggi il
personale in servizio e cosa stia effettivamente facendo».
Maria Sandra Telesca, assessore alla Salute della Regione, è scossa dalla drammatica fine di Erik Tuan,
ucciso da una crisi cardiaca a 47 anni. Ma non accetta che da un episodio dal tragico epilogo si tragga
la conclusione che il personale sanitario non basta. Ed è pronta a confrontarsi su questo anche con il
sindacato.
Assessore, deve riconoscere che le segnalazioni di personale all’osso e turni massacranti si
moltiplicano. Non è strumentalizzazione politica.
«Lo so. Arrivano anche a me. Stiamo assumendo in tutte le Aziende: parlo di personale infermieristico
e operatori socio-sanitari, con operazioni peraltro già approvate ancora a novembre dalla Giunta. Ma il
punto non è questo».
Il sindacato denuncia il taglio di ben 300 posti di lavoro.
«Vero, sono circa 300 su 22mila dipendenti. Sono prevalentemente posti di personale amministrativo,
che si continua a ridurre e che la nostra riforma comprime ulteriormente».
Le proteste riguardano gli infermieri.
«Ma il numero d’infermieri dal 2013 al 2014 è diminuito di 34 unità, non 300. E gli operatori sociosanitari sono aumentati di 13 unità».
Conferma un concorso per stilare una graduatoria da cui attingere nuove forze professionali?
«Sì, confermo. Ma ripeto: stiamo già assumendo».
Allora ci spieghi: se il personale è numericamente adeguato, perché succedono certi episodi? Perché
nei Pronto soccorso si aspetta ore e ore?
«È evidente che molti infermieri sono collocati in ruoli impropri. Per questo un’indagine interna chiesta
ai direttori generali delle Aziende dovrà rapidamente fornirci un quadro esatto della situazione. Sarà
così possibile spostare le persone dove servono di più, cominciando dall’emergenza, che la riforma
vuole potenziata sul territorio».
Forse è "colpa" di un livello importante di assenteismo?
«Non lo so. Certo che se uno lavora male in un ambiente negativo, è più facile che stia male. Ma il
cuore del problema, insisto, è un altro».
Cioè?
«Molti infermieri sono in realtà oberati da adempimenti burocratici, tutto tempo e impegno sottratto
alla cura dei pazienti».
Tuttavia qui potete intervenire.
«Già nei prossimi mesi gli oneri burocratici saranno sensibilmente ridotti. Stiamo per adottare un
modello organizzativo molto più semplice e snello, con tanto di programma formativo del personale
coinvolto. Ci attendiamo risultati importanti e percepibili da tale operazione. Perché ripeto: assumere,
in sé, non basta».
Maurizio Bait
Le aziende “accelerano” la crisi per assumere con nuove regole (M. Veneto)
di Elena Del Giudice UDINE La rivoluzione copernicana del lavoro è iniziata, ma non conclusa. Il Jobs
act è in vigore grazie al varo dei primi decreti attuativi, e altri lo saranno a breve, contribuendo a un
cambiamento radicale delle regole. Da subito I neo assunti lo sono con il nuovo contratto a tutele
crescenti con le diverse norme sui licenziamenti, sia individuali che collettivi, e in predicato di
beneficiare di ammortizzatori sociali che con i precedenti hanno poco in comune. Le regole, vale la
pena ripeterlo, valgono solo per i neo-assunti, con l’eccezione del demansionamento, fino a ieri
possibile nell’ambito di un confronto e di un accordo sindacale che ora invece non è più necessario. In
caso di fallimento, vedasi Lavorazioni Inox di Villotta di Chions, la prosecuzione dell’attività con il
contratto d’affitto avviene conservando regole e trattamento economico in essere. Le assunzioni che
opererà la newco che rileverà l’azienda dal fallimento tra quattro mesi, avverranno invece con le regole
del Jobs act. Investiti immediatamente dalle regole volute da Renzi, i dipendenti delle società (spesso
cooperative, ma non solo) che in caso di subentro in un appalto, diventano nuovi assunti dall’azienda
aggiudicataria. Apprendisti Un’altra possibile conseguenza immediata potrebbe essere la riduzione
delle assunzioni con contratto di apprendistato, dove è presente uno scambio tra formazione e basso
salario, spesso fino a ieri utilizzato impropriamente come serbatoio per avere manodopera a basso costo
e flessibilità in uscita. In questo caso, il contratto a tutele crescenti e a tempo indeterminato,
comprensivo degli sgravi contributivi, può essere preferibile all’apprendistato (che di
professionalizzate aveva poco). Così come è probabile che assisteremo a una riduzione importante dei
contratti a tempo determinato (che oggi rappresentano circa l’80 per cento dei movimenti in entrata del
mercato del lavoro) in favore di quelli a tempo indeterminato, sempre a tutele crescenti. I timori
Sebbene consapevoli che il Jobs act ha bisogno di tempo per compiersi, i sindacati ritengono che già
ora possa determinare pesanti effetti negativi. «E’ possibile - spiega Maurizio Marcon, Fiom Cgil - che
aziende oggi in difficoltà, accelerino operazioni di ristrutturazione e riorganizzazione, sapendo che tra
qualche mese potranno assumere beneficiando degli sgravi contributivi previsti dalle nuove norme. Da
nessuna parte c’è scritto che ciò non sarebbe possibile. Del resto è quel che sta facendo la Fiat».
L’obiettivo Come accennato, la “rivoluzione” non finisce qui. C’è la questione del salario minimo e dei
livelli contrattuali, oggetto di un decreto ad hoc. Da tempo Confindustria preme per una
semplificazione della questione “contratto”. Troppi i 200 contratti categoriali, inefficiente l’attuale
sistema di doppia contrattazione, nazionale e aziendale. Se arrivasse una norma che stabilisce per legge
il trattamento economico minimo applicabile sull’intero territorio nazionale (salario minimo legale),
ecco affrontata la seconda grande questione dopo l’articolo 18. A quel punto si andrebbe definendo un
solo livello contrattuale, aziendale nel caso dei grandi gruppi, o territoriale per le Pmi, dove scambiare
salario con produttività, efficienza redditività. Le reazioni Tutto questo se, ovviamente, nulla cambierà
nell’impianto normativo. Ed è su questo che i sindacati si stanno muovendo, attraverso la raccolta di
firme per una legge di iniziativa popolare, per i referendum abrogativi e per inserire, nei contratti che si
andranno a rinnovare, alcune regole di salvaguardia. ElenaDelGiudice
Il padre del modello Electrolux, ex senatore Pdl, denuncia la fine della concertazione
Castro: il sindacato conterà meno
UDINE Il Jobs act? «E’ fatto per ridurre gli spazi di autonomia contrattuale». Non è un generatore di
competitività, ma «potrà aiutare ad agganciare la ripresa». E ancora, bene ha fatto l’Abi a disdire il
contratto dei bancari, quello in essere «apparteneva ad un’altra era geologica». Federmeccanica farà la
stessa cosa? Forse no, ma anche qui «il contratto andrebbe radicalmente rivisto». Così Maurizio Castro,
già manager Electrolux dove ha “inventato” il modello partecipativo che ha fatto scuola per oltre un
decennio, ex senatore del Pdl, commissario di Acc, esperto di relazioni industriali. Prima Abi poi
Federcasse hanno disdetto il contratto nazionale. Che tipo di segnale stanno mandando? «La disdetta è
sempre funzionale ad una rinegoziazione. Non esistono disdette che implichino l’abbandono della
relazione tra le parti. Detto questo, va anche riconosciuto che vi sono settori, e il caso dell’Abi è
clamoroso, che oggi si trovano ad avere un assetto competitivo regolato da un contratto nazionale
pensato in un’altra era geologica, in anni in cui le banche erano la quintessenza della prosperità e
dell’espansione e che oggi sono invece travolte dalla crisi competitiva. Da qui la necessità di rinnovare
lo strumento di regolazione dei rapporti di lavoro, dei modelli organizzativi e del costo del lavoro».
Quindi a suo avviso non c’è correlazione tra la mossa dell’Abi e, all’epoca, i decreti in arrivo sul Jobs
act? «A me pare un atto forte dell’Associazione, ma tutt’altro che un atto di sfiducia nei confronti del
sistema. Se si vuole disinvestire dalle relazioni industriali, non si applicano i contratti, li si lascia
morire. L’Abi ha scelto una strada diversa e ha dato un messaggio forte alla controparte che dice
“adesso discutiamo davvero”». Per arrivare? «Ritengo a definire un buon contratto, sotto l’aspetto
economico ma anche funzionale a migliorare l’organizzazione e l’efficienza». Pochi giorni fa Lorenzo
Bini Smaghi ha criticato il modello contrattuale in vigore, con un peso eccessivo del livello nazionale
rispetto a quello aziendale. Secondo lei? «L’osservazione di Bini Smaghi è pertitente. Storicamente
settori ricchi hanno investito molto sul contratto nazionale. Potremmo definirlo lo strumento che regola
la velocità di un convoglio basandosi sulle caratteristiche del vagone più lento. Un contratto, dunque,
che definisce un minimo che può essere pagato dal competitore più debole. Oggi che la competizione è
troppo severa, vanno recuperati tutti gli spazi di miglioramento disponibili e quindi va valorizzata la
dimensione aziendale». Il prossimo grande contratto in scadenza sarà quello dei metalmeccanici.
Federmeccanica farà come l’Abi? «Federmeccanica, che non a caso è passata attraverso i traumi dei
contratti separati, ha un contratto nazionale più adeguato ai tempi, rispetto al settore bancario. Ma che
vada ripensato il ruolo del contratto nazionale e di quello aziendale, è evidente». E veniamo al Jobs act.
«La filosofia del Jobs act, per sua natura, è pensata per ridurre gli spazi dell’autonomia contrattuale.
Pensiamo agli 80 euro: un conto è se li dai a tutti con le detrazioni fiscali, un altro è se defiscalizzi i
premi di risultato aziendale. Nel secondo caso passi attraverso un accordo sindacale, nel primo no.
Ripensando all’articolo 8 del decreto legge 148 del 2011, questo consentiva solo per effetto di accordi
sindacali di prossimità, anche separati, modifiche alla disciplina dei licenziamenti, delle mansioni, dei
controlli a distanza; con il Jobs act sono materie già decise dalla legge senza intermediazione
sindacale». Fatto apposta per mettere all’angolo il sindacato? «Il governo immagina una
regolamentazione del mercato del lavoro a bassissimo tasso di intermediazione, sia sindacale che
datoriale. Cambia la filosofia applicata in precedenza». Con quali esiti? In meglio o in peggio?
«Personalmente sono sempre stato a favore della concertazione, se non nazionale territoriale o
aziendale. Non sono certo un conservatore, ma la mia base di piattaforma dà risalto ai corpi intermedi.
Il modello Renzi, molto anglosassone, va in un’altra direzione. Io rimango affezionato al mio modello.
Anche perchè è vero che oggi il sindacato è debole, ma domani potrebbero crearsi situazioni di
antagonismo sociale e in quel caso non avere luoghi per la mediazione, potrebbe essere un problema.
Comprendo come Renzi abbia voluto, in questa fase, operare una cesura con una certa cultura
conservatrice. Ha preferito un’opera di modernizzazione in chiave politica non organizzativa».
Cambierà il mondo? «E’ un atto molto forte e dal grande impatto politico-culturale. Il Jobs act non è, in
sè, un generatore di competitività, ma in una fase di ripresa può essere un acceleratore, quindi crea le
condizioni per favorire la ripresa che ci sarà nel 2015. Ha tolto dei seri ostacoli alla ripresa si verifichi».
Lei ha collaborato, insieme a Treu, Cipolletta, Illy, alla stesura del documento sulla competitività di
Unindustria Pordenone. Che ne è stato? «Il lavoro di Confindustria è stato cruciale perchè ha posto al
centro del dibattito il tema costo del lavoro in Italia, tema che era stato affrontato negli anni 90 salvo
poi uscire dall’agenda. Nella vertenza Electrolux la questione costo del lavoro c’è ed è di enorme
rilevanza. Il documento indica una serie di azioni riformiste che i sindacati interessati a difendere i
posti di lavoro, e le imprese alla ricerca della competitività, sulle quali definire intese vincenti in cui
diventa possibile incidere sul costo del lavoro e aumentare la compartecipazione. E’ un lavoro che ha
fatto scuola». (e.d.g.)
Computer e lavagne interattive: scuola friulana fanalino di coda (M. Veneto)
di Maurizio Cescon UDINE Abbiamo gli studenti più bravi (almeno nelle materie scientifiche) d’Italia,
ma siamo agli ultimi posti nella classifica delle dotazioni tecnologiche a scuola. Una contraddizione in
termini, che francamente sorprende. Ma i dati riportati nell’ambito di un’inchieta di “Affari e Finanza”
del quotidiano “La Repubblica” ed elaborati su ricerche del Ministero dell’Istruzione, non lasciano
spazio a franintendimenti. In Friuli Venezia Giulia solo il 2,14 per cento delle classi hanno uno o più
computer in dotazione, mentre appena l’1,53 per cento delle aule hanno le lavagne interattive. Peggio
di noi, per quanto riguarda le classi con il computer fanno solamente Abruzzo, Umbria, Basilicata e
Molise, mentre per quanto riguarda le lavagne interattive dietro il Friuli ci sono solo Umbria e il solito
Molise. In questa graduatoria svetta la Lombardia con percentuali a due cifre, seguita da Veneto, Sicilia
(che primeggia per le lavagne “intelligenti”), Puglia, Campania, Lazio, Emilia Romagna, Piemonte,
Toscana e via via tutte le altre. Per non parlare dell’estero, dove ormai in molti Paesi le lezioni vengono
tenute con i tablet, eliminando gran parte della “carta”, libri o quaderni che siano. Ma è davvero così
brutta la situazione dalle nostre parti? Il deputato udinese del Pd Paolo Coppola, che è pure presidente
del Tavolo permanente per l’innovazione e l’agenda digitale italiana presso la Presidenza del Consiglio
dei Ministri, ammette che sì, qualche ritardo c’è stato. «Siamo indietro, lo so - spiega -. Ci sono diversi
fattori che incidono. Per esempio pochi istituti della regione hanno sfruttato i canali per i finanziamenti
che potevano essere richiesti al Ministero. E nè l’Ufficio scolastico regionale, nè le Province hanno
puntato con convinzione su questi temi. Infine può esserci stata una certa diffidenza, o poca conoscenza
delle tecnologie, da parte di alcuni insegnanti, che possono aver rallentato l’introduzione degli
strumenti informatici. Un altro problema che mi è stato segnalato è la carenza di collegamenti Internet
ad alta velocità, la banda ultra larga che è completamente da realizzare. La priorità sarà data alle scuole,
utilizzando i fondi previsti dal Piano nazionale. Errori sono stati fatti: il wi-fi nelle scuole con velocità
troppo bassa e quindi inutile, oppure un collegamento veloce, ma l’istituto non aveva il denaro per
pagarlo». Per sensibilizzare il mondo della scuola friulana su questi argomenti, l’onorevole Coppola in
collaborazione con “Impara Digitale”, organizza per sabato 21 marzo, all’auditorium Zanon a Udine, il
“Tablet school”, un’intera giornata dedicata agli studenti con workshop e lezioni dimostrative per far
vedere come funziona una classe tecnologica. Se Coppola ammette carenze, non è dello stesso avviso
Pietro Biasiol, il dirigente facente funzioni dell’Ufficio scolastico regionale. «A noi non risultano dati
così bassi per quanto riguarda le tecnologie in classe - afferma -. Il Ministero ha fatto un suo
monitoraggio, ma consulta le scuole direttamente, senza passare da noi e bisogna vedere che risposte
sono state date. Nè siamo rimasti al palo nelle richieste di contributi per lavagne o computer. Se ci sono
debolezze, da qualche parte, potenzieremo i nostri sforzi, ma abbiamo già istituti di eccellenza, come il
Malignani, che sono più attrezzati. Con Insiel abbiamo avuto un incontro per lanciare il piano per la
scuola e l’Università digitali».
Il nuovo bonus per i poveri vincolato a un “patto sociale” (M. Veneto)
UDINE E’ toccato ieri a una delegazione della Uil regionale confrontarsi con la presidente della giunta,
Debora Serracchiani, sul nuovo strumento di sostegno al reddito cui sta lavorando l’esecutivo che a
sostegno della misura ha già stanziato in Finanziaria 10 milioni di euro. Per la governatrice si tratta di
«uno strumento per combattere la marginalità sociale, per affrontare quelle situazioni di povertà
assoluta che anche in Fvg si sono aggravate a causa del perdurare della crisi». Il provvedimento, stando
a quanto annunciato giorni fa dalla stessa Serracchiani, sarà messo a punto per il mese di giugno,
dunque prima dell’assestamento di bilancio, così da essere operativo entro l’anno. Il parametro che sarà
utilizzato per individuare la platea dei potenziali beneficiari sarà l’Isee, quando al modello, tra gli altri
la Regione sta studiando quello della Provincia autonoma di Trento, che ha disposto il sussidio
pubblico per le famiglie che vivono con meno di 6.500 euro l’anno. Assieme all’assessore al lavoro
Loredana Panariti, Serracchiani ieri si è confrontata con la delegazione Uil confermando che il progetto
di sostegno al reddito cui sta lavorando la Regione prevede una misura di tipo universale, destinata alle
persone che non usufruiscono di uno dei diversi ammortizzatori sociali inseriti nelle politiche del
lavoro, proprio con l’obiettivo di integrarle e coordinarle con le politiche sociali. Le misure, stando a
quanto detto ieri, saranno sottoposte a condizionalità. A un vero e proprio “patto” con i soggetti
beneficiari, individuando percorsi personalizzati di reinserimento lavorativo o sociale. L’incontro col
sindacato è stato anche l’occasione per ribadire la volontà del Governo regionale di procedere a un
riordino complessivo della materia “welfare”, che terrà conto, tra l’altro, delle novità inserite nel
quadro legislativo nazionale tra cui la revisione dell’Isee, il bonus bebé e il sostegno per l’inclusione
attiva. Ma soprattutto cambierà i tempi dell’erogazione dei sostegni al reddito, per venire incontro alle
famiglie nel momento della necessità e non a posteriori, come oggi accade invece spesso rischiando di
rendere vane le misure. Ad esempio sulle rette dell’asilo nido. Erogati sotto forma di rimborso, i
contributi di fatto non agevolano tutte le famiglie, negando l’uso delle strutture a quante non possono
permettersi di anticipare le rette come aveva spiegato giorni fa la stessa presidente: «Succede che le
famiglie che hanno più bisogno – aveva detto Serracchiani durante un incontro con la Cgil proprio in
materia di welfare e sostegno al reddito – non usufruiscono di questa misura semplicemente perché non
hanno la possibilità di anticipare queste somme». (m.d.c.)
La carica dei 1.321 candidati della Cgil (Piccolo)
TRIESTE Quasi 500 enti coinvolti tra comparto unico, sanità, amministrazione statale e parastatale,
scuola, università e ricerca. Un totale di 70mila lavoratori in Regione. Sono i numeri delle elezioni Rsu
in programma da questa mattina a giovedì pomeriggio. Un appuntamento cui la Cgil, informa una nota
del sindacato, si iscrive con 1.312 candidati, di cui 844 nel lavoro pubblico e 468 nella conoscenza.
«Serve una risposta forte da parte dei lavoratori – è l’appello finale del segretario regionale Franco
Belci –. A livello italiano, contro le pretese di un governo che intende fare riforme senza discuterle col
sindacato. E anche in Fvg, dove il confronto col sindacato c’è e deve proseguire». L’auspicio è
innanzitutto quello di una massima partecipazione al voto «per dare un messaggio chiaro a un esecutivo
nazionale che non rinnova i contratti pubblici, fermi al 2009, e che pretende di riformare la pubblica
amministrazione e la scuola a colpi di tweet». Il consenso alla Cgil, aggiunge Belci, significherebbe
invece «un sostegno al nostro impegno in difesa della dignità del lavoro, pubblico e privato, e per dare
più forza alle rivendicazioni sui tavoli della sanità e del comparto unico». Il tema della sanità è tornato
caldissimo dopo la tragedia di Cividale. La Cgil rivendica l’esigenza di una discussione «libera da
pregiudizi» sul fabbisogno di personale. «Un fabbisogno cui dare risposte – dice anche Mafalda
Ferletti, segretaria regionale Funzione pubblica – non solo attraverso una più efficace organizzazione
ma anche con nuove assunzioni, condizione imprescindibile per dare attuazione ai contenuti della
riforma migliorando i servizi per i cittadini e ottimizzando l’impiego delle risorse. Lo stesso obiettivo
che deve porsi la riforma delle autonomi locali, valorizzando uno strumento come il comparto unico,
concepito proprio per dare gambe al processo di riforma». Carico di significati locali, rileva sempre la
Cgil, anche il voto nei settori della scuola e della conoscenza. Le criticità? «Dagli uffici scolastici
regionale e provinciali lasciati senza dirigenti all’affollamento delle classi – spiega segretario regionale
Flc Adriano Zonta –, dall’abbandono scolastico fino ai temi attualissimi del rapporto tra scuola e
mercato del lavoro e dell’organizzazione del sistema universitario sul territorio, Problemi che devono
occupare un posto di primo piano nell’agenda della giunta». (m.b.)
Pubblico impiego, 70 mila alle urne (M. Veneto)
di Elena Del Giudice UDINE Alle urne da oggi e fino a giovedì, poco meno di 70 mila dipendenti di
circa 500 enti pubblici del Friuli Venezia Giulia, oltre che di tutta Italia. Seggi aperti per eleggere i
delegati sindacali e “misurare” il peso delle diverse organizzazioni presenti nel pubblico impiego. Si
vota da questa mattina e fino a giovedì pomeriggio e i seggi sono organizzati a livello di ogni singolo
ente. Si vota nelle Aziende sanitarie e in quelle ospedaliere, nelle scuole di ogni ordine e grado, nei
Comuni, Province e Regione, ma anche Camere di commercio e Comunità montane, negli uffici
dell’Agenzia delle Entrate e del Territorio, nelle Dogane e negli enti previdenziali come Inps e Inail.
Dalle consultazioni precedenti, svoltesi tra il 2011 e il 2012, era emersa una sostanziale fiducia nel
sindacato confederale. Cgil, Cisl e Uil si erano aggiudicati complessivamente la maggioranza dei
consensi sia pure con percentuali diverse a seconda del tipo di ente. Rilevata però anche una avanzata
del sindacato autonomo in crescita nel parastato, nelle agenzie fiscali e negli enti locali, mentre il
sindacato che si rivolge a specifiche professioni è diventato la prima organizzazione nella sanità. Ieri
gli appelli al voto da parte del segretario regionale della Cgil, Franco Belci, che ha convocato a Trieste
una conferenza stampa per ribadire come oggi sia necessaria «una risposta forte da parte dei lavoratori
pubblici. A livello nazionale, contro le pretese di un Governo che intende fare riforme senza discuterle
col sindacato. E anche in Fvg, dove il confronto col sindacato c’è e deve proseguire». «Il primo
risultato che ci attendiamo – ha detto Belci – è quello di una massiccia partecipazione al voto, per dare
un messaggio chiaro a un Governo che non rinnova i contratti pubblici, fermi al 2009, e che pretende di
riformare la pubblica amministrazione e la scuola a colpi di tweet. Ma ci aspettiamo anche un forte
consenso alla Cgil, per sostenere il nostro impegno in difesa della dignità del lavoro, pubblico e
privato, e per dare più forza alle nostre rivendicazioni a livello nazionale e anche in questa regione, a
partire dai tavoli della sanità e del comparto unico». Proprio in tema di sanità, la Cgil rivendica
l’esigenza di una discussione «libera da pregiudizi» sul fabbisogno di personale. «Un fabbisogno cui
dare risposte – dichiara Mafalda Ferletti, segretaria regionale Fp-Cgil – non solo attraverso una più
efficace organizzazione ma anche con nuove assunzioni». Per la Cisl è la confederazione dell’Alto
Friuli ad aver lanciato l’appello al voto. «Non siamo quelli degli inutili piagnistei - rimarcano Fiorella
Luri, Fp Cisl, Maurilio Venuti, Cisl Scuola, e Franco Colautti, segretario della Cisl Alto Friuli - ma
siamo lavoratori che hanno il diritto dovere di difendere la propria dignità di erogatori di servizi alla
persona».
Rsu, la Cgil mette in gioco oltre mille candidati (Gazzettino)
UDINE - Sono oltre 1.300 i candidati nelle liste Cgil per le elezioni delle Rsu nel pubblico impiego, in
programma da oggi a giovedì. Oltre 500 gli enti e 70mila i lavoratori interessati in regione da un voto
che per la Cgil, come hanno spiegato il segretario generale Franco Belci e i rappresentanti di categoria
Mafalda Ferletti (pubblico impiego) e Adriano Zonta (scuola), ha un valore politico anche locale. «Ci
attendiamo una massiccia partecipazione al voto - ha detto Belci - per dare un messaggio chiaro a un
Governo che non rinnova i contratti pubblici e che pretende di riformare pubblico impiego e scuola a
colpi di tweet. Ma ci aspettiamo anche un forte consenso alla Cgil, per dare più forza alle nostre
rivendicazioni a livello nazionale e anche in questa regione, a partire dai tavoli sulle riforme della
sanità e del comparto unico». E a proposito di sanità, nel giorno del dibattito in Consiglio sul caso
Cividale, la Cgil ribadisce che la mpriorità sono le assunzioni: «Una condizione imprescindibile dichiarano Belci e Ferletti - per dare attuazione ai contenuti della riforma e per migliorare i servizi ai
cittadini».
CRONACHE LOCALI
Cinquanta portuali a rischio per una lite sui giubbotti (Piccolo Trieste)
di Silvio Maranzana Cinquanta posti di lavoro in pericolo in porto per una querelle sul lavaggio delle
tute degli operai, in particolare dei giubbetti rifrangenti di protezione. I soci della fallita Cooperativa
Primavera, il cui ramo d’azienda, dopo una serie di scioperi e manifestazioni, nel 2011 è stato preso in
affitto dalla Delta Uno srl, hanno presentato a quest’ultima il conto del lavaggio eseguito in proprio:
120mila euro. Richiesta che ha mandato su tutte le furie proprio la Delta Uno, società di proprietà dello
stesso terminalista del Molo Settimo, Pierluigi Maneschi e di cui è amministratore delegato Bruno
Podbersig, che, sentendosi tradita per aver salvato nel 2011 i cinquanta portuali dalla disoccupazione,
ha minacciato di restituire il ramo d’azienda al curatore fallimentare della Primavera, l’avvocato
Massimo Simeon che, quando questo accadrà, non potrà far altro che licenziare tutti i cinquanta
dipendenti. Il contratto d’affitto scade il 31 agosto 2017 e, a parte possibili rescissioni anticipate, il
curatore fallimentare ha già fatto sapere che le trattative per quello che si prospettava come un
probabilissimo acquisto sono ora state interrotte. Simeon ha messo dunque in guardia sulle intenzioni
di Delta Uno sia l’avvocato Nicola Sponza che rappresenta i lavoratori che hanno presentato la
richiesta di risarcimento sia i responsabili sindacali di Filt-Cgil, Fit-Cisl, Uiltrasporti e Ugl mare. Oggi
si svolgerà anche un confronto diretto tra i sindacalisti e il curatore fallimentare. Nella lettera inviata a
Sponza, Simeon riguardo alla richiesta dei 120mila euro (il conteggio deriverebbe da una spesa mensile
di 80 euro che è gravata su ogni singolo dipendente per molti mesi) la bolla come un’iniziativa che «a
prescindere dal merito delle ragioni» può determinare «una situazione di conflittualità idonea a
pregiudicare le trattative che il Fallimento sta conducendo con l’affittuaria per la vendita dell’azienda:
un tanto non solo nell’interesse della procedura, ma anche e soprattutto dei dipendenti, visto che l’esito
infausto di tali trattative significherebbe con tutta probabilità l’immediato avvio delle procedure di
licenziamento». L’iniziativa dunque, secondo il curatore fallimentare, sarebbe «assolutamente sbagliata
nei tempi, nei modi e nei toni». La questione è comunque più complessa poiché dalla parte dei
dipendenti potrebbero esservi dei regolamenti che imputano all’azienda l’obbligo del lavaggio delle
tute mentre c’è sul tappeto anche un’altra questione perché gli stessi lavoratori starebbero ora anche
facendo resistenza alla stipulazione dei contratti di solidarietà. Nella stessa lettera però il curatore
fallimentare si riferisce anche a un precedente incontro avuto con l’avvocato Sponza in cui aveva
sottolineato che «la procedura di cessione dell’azienda prevede la stipulazione di un accordo sindacale
nel corso del quale i dipendenti potranno riversare le loro istanze e contestazioni». Chiarissimo un
passaggio messo nero su bianco nella lettera dallo stesso curatore fallimentare: «La conseguenza di
questa iniziativa - scrive Simeon - è stata l’immediata interruzione delle trattative in corso con
l’affittuaria, che Delta Uno ha sospeso, comunicandomi che “questi accadimenti non fanno altro che
spingere Delta Uno srl verso la restituzione del ramo d’azienda alla Cooperativa Primavera, escludendo
possibili ipotesi di riconferma, anche parziale, del personale”. Ebbene sia chiaro - la deduzione che fa il
curatore fallimentare - che qui in gioco non c’è il risarcimento per il lavaggio tute, ma la conservazione
stessa del posto di lavoro di tutto il personale Primavera, non avendo io altra alternativa in caso di
mancato reperimento di un acquirente che procedere al licenziamento collettivo di tutti i dipendenti.
Spero altresì sia altrettanto chiaro che Delta Uno non è in alcun modo tenuta ad acquistare il ramo
d’azienda al termine dell’affitto, il che impone di gestire il legittimo esercizio dei propri diritti alla luce
di un’adeguata e accurata valutazione delle conseguenze». Come se non bastasse, Simeon si riserva
ogni iniziativa per il risarcimento di eventuali danni causati al Fallimento.
I sindacati sostengono che nel passaggio tra aziende si è creato un vuoto normativo e salariale
«Ma quale tuta o gilet, manca il contratto»
di Pierpaolo Pitich Una vicenda che inizia ormai tre anni e mezzo or sono, alla fine dell'estate 2011,
quando una cinquantina di lavoratori portuali (58 per la precisione) della Cooperativa Primavera,
all'epoca in fase di liquidazione, vengono assorbiti dalla società Delta Uno, che fa parte del Gruppo
To.Delta, a sua volta riconducibile a Pierluigi Maneschi, concessionario del Molo VII in Porto Nuovo.
Una svolta che era avvenuta dopo alcuni mesi particolarmente caldi, con i lavoratori della cooperativa
che avevano dato vita a un lungo ed eclatante sciopero di protesta a oltranza, che di fatto aveva
bloccato l'attività portuale, con un serpentone di camion fermi negli spazi interni ed esterni dello scalo.
Tecnicamente un «procedimento di trasferimento d'azienda», avvenuto dopo una ricapitalizzazione di
500mila euro della società Delta Uno che aveva in questo modo consentito la presa in carico dei
lavoratori portuali. La querelle tra i lavoratori e la società sul pagamento delle spese per il lavaggio dei
giubbotti catarifrangenti, per un totale di 120mila euro, secondo i rappresentanti sindacali, è solo la
punta di un iceberg di una situazione ben più complessa. «Si tratta soltanto di uno degli aspetti aperti
che stanno emergendo con forza dirompente all'interno di un contesto problematico - spiega Renato
Kneipp, segretario Filt Cgil -. Il fatto che non sia stata ancora ben definita l'acquisizione del ramo
d'azienda lascia alcune situazioni nel limbo dal punto di vista non solo economico ma anche
normativo». «Mi riferisco - continua - in particolare alla mancanza di un passaggio fondamentale che
riguarda il contratto di secondo livello per i lavoratori assorbiti all'epoca. Questo comporta
inevitabilmente un accumulo di tensioni che non sono di certo utili ad avviare un dialogo costruttivo tra
le parti. C'è bisogno di serenità ad ogni livello e soprattutto per i lavoratori, cui vanno date risposte
certe a fronte della loro produttività che si concretizza negli ottimi risultati dello scalo portuale».
Concetti ripresi da Giulio Germani, Fit Cisl Reti. «Sono ormai tre anni e mezzo che stiamo cercando di
trovare una mediazione con l'azienda ma senza arrivare ad una soluzione soddisfacente - afferma
Germani -. I lavoratori stanno vivendo una situazione decisamente precaria e il problema delle spese
per il lavaggio dei giubbotti catarifrangenti rappresenta soltanto una delle numerose criticità che vanno
risolte al più presto. Nell'acquisizione del ramo d'azienda della Cooperativa Primavera non c'è mai stata
da parte della Delta Uno una posizione basata su regole create ad hoc: in sostanza vengono ancora a
mancare le tutele e il trattamento adeguato di un lavoratore dipendente». Nessuna dichiarazione
ufficiale invece da parte dell'amministratore delegato di Delta Uno Bruno Podbersig e del legale dei
lavoratori Nicola Sponza, entrambi irraggiungibili al telefono.
«Ferriera, pronti a chiudere l’area a caldo» (Piccolo Trieste)
di Silvio Maranzana «Se la qualità dell’aria non migliorerà chiuderemo tutta l’area a caldo». Lo ha
confermato ieri sera in Consiglio comunale nel corso della seduta straordinaria sulla Ferriera,
Alessandra Barocci, responsabile del Gruppo Arvedi per gli aspetti ambientali. Tutto dipenderà dalla
resa del nuovo impianto di aspirazione studiato per la captazione, la depolverizzazione e la filtrazione
delle emissioni nelle diverse aree della cokeria: batterie forni, macchina caricatrice, zona
movimentazione e selezione coke, zona sottoprodotti. «Nelle cokerie - ha detto Barocci - ci sono
emissioni fisiologiche che non comportano superamento dei limiti ammessi. Ma a Trieste, con lo
stabilimento all’interno della città, nemmeno questo potrà accadere per cui abbiamo studiato qualcosa
che viene fatto solo in Giappone. La modellizzazione matematica ci ha dato ragione, hanno funzionato
anche alcune simulazioni con cappe a scala ridotta. La progettazione è terminata, abbiamo investito 4
milioni di euro e ordinato l’impianto. Funzionerà a regime alla fine dell’anno». Ciò non ha comunque
tranquillizzato i rappresentanti delle associazioni degli abitanti che hanno continuato a urlare e
rumoreggiare dal settore del pubblico, nemmeno l’opposizione di centrodestra in Consiglio comunale e
tantomeno il caprogruppo di Sel, Marino Sossi, che ha annunciato la presentazione di una mozione per
chiedere l’immediata chiusura, a prescindere, dell’area a caldo: cokeria e altoforno. Di fatto sulla
Ferriera, questione clou della politica cittadina, c’è un’altra maggioranza che esclude Sel e imbarca
Un’Altra Trieste come si è capito dall’intervento di Alessia Rosolen. Le “chiavi” di tutta la zona
intanto, non solo il perimetro dello stabilimento servolano ma anche la parte di Ezit che rientra
nell’Area di crisi industriale complessa stanno per arrivare in mano a Debora Serracchiani come lei
stessa, partecipando alla seduta, ha confermato. «A giorni - ha annunciato - chiuderemo anche il terzo
Accordo di programma quello cosiddetto quadro che riordina il sistema di risorse definendo la cornice
giuridica con la nomina del commissario straordinario per l’attuazione dell’Accordo stesso nella
persona del presidente della Regione. Il 16 marzo - ha aggiunto - vi sarà un incontro con gli assessori
regionale e comunale all’Ambiente per la comunicazione da parte dell’Arpa dei dati delle centraline
antinquinamento sui quali vi sarà un confronto anche con le associazioni ambientaliste. Il 6 giugno
infine si svolgerà l’Open day e tutti i triestini potranno entrare nello stabilimento e sincerarsi delle
operazioni di risanamento che sono state fatte. «È innegabile -ha affermato nel suo intervento il sindaco
Roberto Cosolini - che rispetto al passato vi è una novità sostanziale nel continuo rapporto che si è
instaurato tra l’azienda, le istituzioni e i cittadini. Un’altra conferma si è avuta sul fatto che l’area a
caldo continuerà solo se non sarà inquinante. È vero che nel 2011 era stato preso l’impegno della
riconversione, ma non c’era tutto questo (170 milioni di investimenti privati e 42 pubblici, ndr.)
all’orizzonte». «L’assessore regionale che nel 2008 avvallò l’Autorizzazione integrata ambientale alla
Lucchini - lo ha rimbeccato Everest Bertoli (Forza Italia) - ora siede su questi scranni e fa il sindaco».
Dopo una parentesi dedicata al commercio, in tarda serata il Consiglio ha incominciato la discussione
su tre mozioni sempre sulla Ferriera.
Regione a IdealScala: il piano entro un mese (Gazzettino Pordenone)
Davide Lisetto La Coop IdealScala dovrà presentare un dettagliato piano industriale alla Regione.
Soltanto dopo si potrà valutare tutte le opportunità offerte dagli strumenti e dalle leggi regionali per
accompagnare il rilancio produttivo dello stabilimento di Orcenico ceduto dalla multinazionale Ideal
Standard. Il vicepresidente Sergio Bolzonello è stato molto chiaro, ieri mattina, durante l’incontro in
Regione con i vertici della Cooperativa IdealScala, Confcooperative Pordenone, Lega Coop,
Unindustria e organizzazioni sindacali. La Regione - dicendosi disponibile a guidare il gruppo di lavoro
che si dedicherà al progetto, e quindi riprendendosi il "pallino politico" di un esperimento industriale
che potrebbe essere modello per altre realtà produttive in crisi in regione - «che non è un bancomat», ha
posto alcune condizioni chiare dicendosi fin da subito disponibile a mettere a disposizione i dirigenti
degli uffici e anche, se dovesse servire, un advisor che punti a realizzare il piano industriale e
commerciale della futura società cooperativa. Chiarito anche il fatto che la finanziaria Friulia - per
motivi tecnico-giuridici - non potrà entrare nelle eventuale start-up che la Coop Ideal Scala lancerà per
avviare la produzione e cominciare a riassumere un certo numero di ex dipendenti. Insomma,
Bolzonello ha sollecitato la Coop e gli altri protagonisti della vicenda a presentare il piano entro un
mese di tempo. E a lavorare, parallelamente, anche sulla costituzione di un assetto manageriale che
consenta di cominciare a gettare le basi dell’operazione rilancio. «Siamo convinti - ha detto il
vicepresidente della Regione - che l’impegno di IdealScala sia una battaglia simbolo per tutta la
manifattura regionale e in particolare della provincia di Pordenone. Saremo in prima linea
nell’accompagnare quest esperienza. Ma le condizioni devono essere chiare. Inoltre, IdealScala non
deve rimanere ancorata esclusivamente alla ceramica, aprendosi invece a eventuali opportunità
diverse». In realtà l’obiettivo della Coop è sempre stato quello di allargare la gamma (idromassaggio,
rubinetteria) sempre con una produzione medio-alta di gamma che può trovare mercato soprattutto
all’estero. Si formerà ora un gruppo di lavoro che possa dialogare con la Regione: IdealScala potrebbe
essere rappresentata da ConfCoop e Lega Coop. Primo passo da compiere: la realizzazione da parte del
piano industriale da parte di una società specializzata: potrebbe essere Bpi Italia che ha accompagnato
l’esperienza nella prima fase fino a oggi, ma le ipotesi sono anche altre. Le associazioni di categoria
cercheranno i soldi - probabilmente attraverso un prestito bancario, viste le garanzie che la Regione ha
dato di poter accedere nei prossimi mesi ai finanziamenti di Rilancipresa - per affidare l’incarico. «C’è
tutta - sostiene Vincenzo Maiorano, presidente di ConfCoop Pn - la disponibilità a fare in fretta anche
sul fronte del management. È opportuno che sul progetto resti anche il tavolo allargato con Unindustria
e sindacati».
Germacar via Prasecco Nome storico da salvare attraverso il concordato (Gazzettino Pordenone)
PORDENONE - Germacar è stata per 45 anni il riferimento della Mercedes nelle province di Udine e
Pordenone. A novembre, dopo aver rinunciato al concordato preventivo, la "Germacar Auto Spa" di via
Cusano, a Zoppola, ha chiesto l’autofallimento. In questi giorni la "Germacar di Cesaro Sergio Spa", in
liquidazione da novembre, ha chiesto di essere ammessa al concordato preventivo. L’obiettivo è quello
di risanare un nome - quello della Germacar - conosciuto in tutta la regione e nelle vicine province.
La società è legata alla sede pordenonese di via Prasecco (autovetture, automezzi industriali e agricoli,
autobus, rimorchi, ma anche macchine per il movimento terra e caravan). La procedura concorsuale è
stata aperta con riserva e il Tribunale ha dato tempo fino al 28 aprile per presentare un piano. È già
stato nominato anche il commissario giudiziale, che sarà Maurizio Democrito. In questa fase avrà
soltanto poteri di controllo.
L’intenzione di Claudio Cesaro non è quella di riaprire, ma di valorizzare un nome che nonostante sia
stato penalizzato dalla forte crisi del mercato delle auto, nel settore delle concessionarie mantiene la sua
importanza. Il concordato sarà pertanto la base per un piano di ristrutturazione aziendale che dia
nuovamente valore al "marchio" Germacar.
Lavinox, c’è il via libera all’affitto per 4 mesi (M. Veneto Pordenone)
CHIONS Via libera dal tribunale di Milano all’accordo-ponte per l’affitto del ramo d’azienda, che da
domani consentirà la ripresa dell’attività dell’ex Lavorazioni Inox di Villotta, per quattro mesi, in capo
a Lavinox. Oggi, davanti al notaio, si procederà con la sottoscrizione del contratto da parte della new
company costituita dal Gruppo Sassoli, vecchio proprietario dell’azienda fallita la scorsa settimana, e
dalla società slovena Slovmetal. Il via libera del giudice era fondamentale per procedere nel percorso
che consentirà di salvare il sito industriale e soprattutto l’occupazione. Al lavoro, da domani a venerdì,
tutte e 214 le maestranze dell’ex Lavorazioni Inox, che opereranno su tre turni, per fare fronte al gap
nella produzione, che si è determinato in seguito alla fermata della fabbrica. I ritardi nelle consegne
interessano in primis il più grande cliente dell’azienda di Villotta, ossia l’Electrolux Professional, sito
che la scorsa settimana era entrato in sofferenza e ricorso a fermate produttive, coperte con la cassa
integrazione. Da ieri, invece, l’impresa di Vallenoncello è tornata pienamente operativa. «Dopo la
sottoscrizione dell’accordo di sabato, a Unindustria, un altro passaggio fondamentale è stato compiuto
– ha commentato la Rsu di Fiom, Angela De Marco –. Il parere favorevole del giudice era necessario
per procedere lungo il percorso delineato, che porterà alla ripresa dell’attività. Ora dovremo
concentrarci sulla partita che interessa la distribuzione del lavoro e quindi la gestione dell’organico. Il
nostro impegno sarà massimo per garantire la salvaguardia dell’intera forza lavoro». L’11 marzo, a
Unindustria, si discuterà della gestione dei lavoratori: sino a venerdì, in azienda, ci sarà posto per tutti,
ma dalla prossima settimana lo scenario potrebbe cambiare. Da valutare, quindi, la possibilità di
ricorrere alla cassa ordinaria. Intanto, per domani, a villa Perotti, a Chions, il sindaco Federica Della
Rosa ha convocato i sindaci dei 43 comuni di residenza e provenienza degli addetti, sindacati e
Unindustria per individuare misure di sostegno al reddito per le maestranze, che sino a metà aprile
rimarranno senza spettanze.(g.s.)
A Roveredo si fa il punto sulla vertenza Ovvio (M. Veneto Pordenone)
ROVEREDO IN PIANO Scende in campo la Regione per gli ex dipendenti di Ovvio Roveredo. I
lavoratori da mesi non ricevono le spettanze: 300 mila euro, nel complesso, la somma dovuta e mai
corrisposta dalla proprietà, nei confronti della quale è in atto un procedimento legale intentato proprio
da chi era impiegato nella sede roveredana del marchio sino a quando questa non ha chiuso i battenti,
ad agosto dello scorso anno. Una situazione complicata quella dei 31 lavoratori, a sostegno dei quali si
muove ora il vicepresidente regionale Sergio Bolzonello, che oggi incontrerà a Roveredo la giunta
comunale e il sindaco Mara Giacomini. Un confronto che, fa sapere il primo cittadino, ha il duplice
intento di tenere alta l’attenzione sulla situazione degli ex dipendenti, ma nel contempo di aprire un
ragionamento sul futuro dell’area commerciale al confine con Aviano, rimasta “orfana” nel giro di un
paio d’anni dei punti vendita Ovvio, Semeraro e del bar-ristorantino. Tre chiusure che hanno
comportato la perdita di circa 55 posti di lavoro. L’accordo con la proprietà di Ovvio era stato firmato
al termine di una serrata vertenza sindacale e prevedeva la corresponsione a rate delle spettanze ai
lavoratori: mensilità arretrate, Tfr, liquidazione e incentivo all’esodo. Per il primo mese (settembre) i
pagamenti sono avvenuti in maniera regolare nei confronti di un primo gruppo di dipendenti usciti in
mobilità volontaria. I problemi sono cominciati a ottobre, poiché l’azienda non ha rispettato una doppia
scadenza: la seconda rata di spettanze ai lavoratori congedati a maggio e la prima all’altra quindicina di
persone che hanno atteso la chiusura del punto vendita. Gli ex dipendenti del negozio roveredano si
sono mossi in vari modi per rientrare in possesso di ciò che spetta loro, sia adendo le vie legali sia
unendosi alla protesta dei colleghi della sede Ovvio di Torri di Quartesolo (Vicenza), anche loro in
ritardo con la ricezione degli stipendi, nonostante il negozio sia regolarmente aperto. Domenica
lavoratori veneti e friulani hanno manifestato (indossando magliette con scritte come “Ovvio non
paga”) nel punto vendita vicentino zeppo di clienti.(m.pa.)
Mercatone Business, oggi il vertice in Regione (Gazzettino Udine)
REANA DEL ROJALE - (PT) Mancano poco più di due settimane da quando il Gruppo "Mercatone
Business" ha chiesto di essere ammesso a concordato preventivo "in bianco" perché gravato da un
pesantissimo indebitamento che impedisce alle società controllate di andare avanti, pena il fallimento.
Entro il 19 marzo, infatti, "Mercatone Business" dovrà presentare il piano industriale e di riordino al
Tribunale di Bologna. In realtà c'è la possibilità di chiedere una proroga di ulteriori 60 giorni, per
perfezionare e integrare il documento. Al momento, comunque, nulla si sa sui contenuti del piano e le
organizzazioni sindacali che in tutta Italia stanno seguendo la vertenza non sono riuscite ancora ad
avere un incontro chiarificatore con il Ministero dello sviluppo economico. Tanto che le singole single
stanno valutando, ora, di organizzare un presidio a Roma, per accelerare la risoluzione della vertenza.
Da quando "Mercatone Business" ha annunciato la sua decisione di essere ammesso a concordato, non
solo sono calate le vendite nei negozi ma è aumentato anche il numero di ore di "solidarietà" dei
dipendenti. Le conseguenze? Calo del fatturato per il Gruppo e diminuzione dello stipendio per i
dipendenti che, nella nostra provincia, sono una trentina in tutto, concentrati nello storico negozio di
Reana all'insegna "Mercatone Uno". Ieri, nel punto vendita, assemblea di due ore dei lavoratori con
Francesco Buonopane della FilcamsCgil e Athos Di Stefano della FisascatCisl. Grande la
preoccupazione degli addetti diretti. E oggi, alle 11.30, nella sede di Udine della Regione, nuovo
incontro per fare il punto sulla delicata vertenza.
Ospedale, il pronto soccorso “scoppia” (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
di Francesco Fain Quarantacinque persone in attesa sabato pomeriggio e sera. Trentaquattro domenica
attorno alle 13, di cui 23 codici verdi e 3 bianchi, quelli che connotano i casi meno gravi. Ventidue
pazienti in fila ieri mattina con una netta preponderanza (16 casi) di codici verdi. Il Pronto soccorso
dell’ospedale di Gorizia torna ad essere sotto pressione con carichi di lavoro raddoppiati, se non
addirittura triplicati, rispetto alla normalità. E la preoccupazione sale perché lo stress è notevole sia fra i
medici che fra gli infermieri che si fanno letteralmente in quattro per garantire un’assistenza adeguata a
tutte queste persone. «Purtroppo, paghiamo problemi annosi che vanno dall’insufficienza degli organici
del Pronto soccorso alla mancata valorizzazione della sanità territoriale - denuncia Massimo
Bevilacqua, segretario regionale della Funzione pubblica/Cisl -. Il risultato? L’astanteria è
frequentemente congestionata con disagi e file per i poveri pazienti. È una situazione pazzesca: se ne
sentono di tutti i colori. Mi auguro che la nuova dirigenza della neonata Azienda sanitaria Bassa
Friulana-Isontina sappia affrontare la questione con senso di responsabilità». I numeri degli accessi A
tutto agosto dell’anno passato il Pronto soccorso di Gorizia aveva “collezionato” 14.606 accessi.
Continuano ad essere molti (anzi troppi) gli isontini che si rivolgono al Pronto soccorso, con il risultato
che viene intasato spesso e volentieri. E molte volte la causa è sempre la stessa, ovvero i servizi a
livello territoriale insufficienti per cui casi non gravi, che potrebbero essere “smaltiti” dai medici di
medicina generale, affluiscono al Pronto soccorso. Altri numeri. Nel 2014, dal primo gennaio al 31
dicembre, gli accessi all’astanteria goriziana furono oltre 22mila, dei quali il 15,9% per codici bianchi
(nessuna urgenza), 62,1% per codici verdi (lesioni o problematiche di urgenza minore, ma che vanno
comunque curate), il 19,7% per i codici gialli (casi urgenti), il 2,4% per i codici rossi (emergenze con
paziente in pericolo di vita). Riguardo all’ospedale monfalconese, i casi più gravi (rosso) hanno inciso
per lo 0,7%, quelli non gravi (bianchi) per il 38,8%. Effettivamente, i codici bianchi e i codici verdi
continuano ad essere tanti, anzi troppi, l’abbiamo scritto più volte. Da evidenziare la professionalità
degli operatori che, pur sottoposti ad elevate dosi di stress, mantengono la lucidità e mettono nelle
condizioni migliori i pazienti. Andando oltre, il codice più frequente a livello provinciale è il verde
(costituisce il 54,2 per cento), il giallo equivale invece al 13,7%. Una situazione non nuova, purtroppo,
ma che si ripropone con una (preoccupante) periodicità. L’intervento dell’assessore L’assessore
comunale al Welfare Silvana Romano torna a manifestare preoccupazione per questa situazione che
viene attentamente monitorata anche a livello di conferenza dei sindaci. «Situazione - spiega ancora
l’esponente della giunta Romoli - che non è destinata a migliorare: anzi, se possibile, il trend conoscerà
un aumento visto che nell’ultimo triennio c’è stato un aumento del 6% delle persone
ultrasessantacinquenni che, potenzialmente, hanno maggiore bisogno di cure». Una situazione da
raddrizzare, dunque. E le speranze sono tutte risposte nei nuovi vertici dell’Ass. «Non posso che
auspicare con forza che si arrivi concretamente a un potenziamento della sanità territoriale. Così non si
può andare avanti. Ripeto un concetto a me caro: della riforma regionale ricordo soltanto i tagli, fra cui
quello doloroso del Punto nascita, ma non certamente novità sotto il profilo del miglioramento dei
servizi», la conclusione dell’assessore Silvana Romano.
La Uil-Fpl: «Medicina e Chirurgia con il fiato corto»
«Medicina e Chirurgia allo stremo. Il personale infermieristico e gli operatori socio-sanitari sono ridotti
ai minimi termini, alle prese con pensionamenti, malattie e aspettative. Le criticità si evidenziano in
entrambi gli ospedali di Gorizia e Monfalcone, anche alla luce della nuova modalità della weeksurgery, con la chiusura del servizio il venerdì, comportando “migrazioni” di degenti in altri reparti». A
denunciarlo è il sindacato Uil Fpl (Federazione Poteri Locali), attraverso il segretario regionale
referente per il territorio di Gorizia, Massimo Peressini. Peressini parla di una «situazione sempre più
critica», all’indomani dell’insediamento della Aas 2 Bassa friulana Isontina. E osserva: «Il taglio
generalizzato del personale infermieristico e di quello addetto all’assistenza, ha inciso pesantemente
sull’organizzazione di diversi reparti, in particolare Medicina e Chirurgia. Il personale si trova costretto
a fare salti mortali, sobbarcandosi un ulteriore carico di lavoro legato a un aumento dei pazienti che,
oltretutto, presentano sintomatologie complesse». Per Monfalcone e Gorizia la coperta resta corta e i
rischi sono tutt’altro che secondari, sostiene Peressini: «Tutto ciò implica un aumento di stress da parte
degli operatori, che rischiano di incorrere in errori. La difficoltà è tale che il personale non potrà
neppure usufruire delle ferie estive». Sul tappeto c’è anche il taglio dei posti-letto che pregiudica
l’organizzazione dei reparti di long e week surgery: «Questi due reparti - dice Peressini - preposti al
ricovero di pazienti acuti, si ritrovano a occupare posti letto per più giornate (10-15 giorni), non
essendo possibile inviare i degenti nei servizi preposti alla continuazione della cura». E a complicare il
tutto è la chiusura, nel fine settimana, della week surgery: «I degenti sono costretti a spostamenti in
altri reparti, già al limite della loro capacità di ricovero». Il sindacato lancia un appello alla nuova
direzione sanitaria, affinchè «affronti prima possibile queste problematiche individuando le adeguate
risposte, ai fini della salvaguardia dei pazienti e dell’efficacia operativa dei lavoratori». Chiede di
provvedere a nuove assunzioni. E aggiunge: «Il sindacato sollecita la Regione perchè avvii un
concorso, come promesso, per l’assunzione a tempo indeterminato di infermieri e operatori sociosanitari. Non vorremmo, invece, come si vocifera, che la nuova Azienda non abbia intenzione di
procedere ad alcuna assunzione. Pagherebbero solo i lavoratori, che chiedono di operare in sicurezza, e
i pazienti».