Transcript 19 FEB 2017
Riflessioni (n.262) sulle Letture della VII Domenica del T.O. (a) 19 febbraio 2017 A tutti gli Amici in Gesù Cristo Nostro Signore e Salvatore Tu che leggi sii benedetto dal Signore, ti custodisca nella pace e nella perenne visione del Suo Volto A tutti gli Amici in Gesù Nostro Signore e Salvatore. A te che leggi: ti benedica il Signore e ti custodisca nella pace e nella perenne visione del Suo Volto. Perdona Signore, e anche voi amici, tutti gli errori e le imprecisioni, che involontariamente avrò scritto: queste righe vogliono essere solo una preghiera a Te Padre Misericordioso, a Te Verbo Redentore, a Te Spirito Consolatore. Non avanzo pretese di scienza che non posseggo, esse sono solo bisogno dell’anima; la preghiera infatti è consolazione e insegnamento. Le cose che conosco della Verità sono poche, ma voglio parlarne con umiltà e devozione massima per conoscerle meglio. Lo Spirito Santo mi aiuti. Signore so che Tu non hai bisogno di quello che diciamo di Te, ma queste mie parole saranno utili e benefiche sicuramente a me e forse a qualcuno che le legge se Tu le arricchirai del Tuo Spirito Santificatore che invoco. -Nihil amori Christi praeponere- SIGNORE FACCI DONO DEL TUO SPIRITO SANTO COSÌ CHE IL TUO AMORE E IL TUO VOLERE SI RIVELINO A NOI Prima Lettura - Dal libro del Levitico- Lv 19, 1-2. 17-18 - Ama il prossimo tuo come te stesso. Il Signore parlò a Mosè e disse: «Parla a tutta la comunità degli Israeliti dicendo loro: “Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo. Non coverai nel tuo cuore odio contro il tuo fratello; rimprovera apertamente il tuo prossimo, così non ti caricherai di un peccato per lui. Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso. Io sono il Signore”». Le Letture di questa settimana hanno fortissima l’incitazione del Padre all’Amore; il Suo Agape è il modello per noi uomini così propensi all’egoismo, al rancore e al tornaconto: «non farò nulla se non ne otterrò un ritorno» è il codice più o meno esplicito di molti. Il Bene è tale solo se è un dono gratuito e costituisce esso stesso un piacere e un compenso per chi ne dispensa al prossimo di getto, per generosità di cuore, senza calcoli né considerazioni di convenienza. Amare: è donare se stessi all’altro; è vivere e donare la pienezza della vita; è la vera gioia che si auto-rigenera perché da esso stesso trae forza e volontà di rinnovamento; è avere e donare speranza che è vita essa stessa; è il legame più potente che si possa stabilire con l’altro; è l’unico desiderio lecito, quello di anticipare i desideri dell’altro; è non far pesare quello che si dona; è qualcosa che ci fa sorridere al solo pensiero della persona amata che lo riceverà; è incontrare e comunicare mettendo a parte l’altro dei propri pensieri; è gioire al pensiero del volto, della voce della presenza dell’altro. E ancora e ancora … Amare è mettersi dietro all’altro che si ama: è una regola valida fra noi uomini ma anche, e pienamente e assolutamente, davanti a Dio! Ma chi deve essere il destinatario il nostro amore, l’amato? Tutti e tutto: dai genitori che ci hanno donato la vita, a tutti i familiari; a chi abbiamo incontrato nei passi della nostra traversata del tempo; chi abbiamo generato; persino le bestiole cui ci siamo affezionati ma anche quelle che vediamo libere in natura; il cielo che ci sovrasta e ci avvolge nella luce; i monti che si abbassano o si innalzano per far sorgere il sole o farlo tramontare; il mare, i laghi e i fiumi che ci assicurano la vita; ma anche i fili d’erba che sorgono come per incanto dalla terra e i boschi misteriosi. Ma se tutto questo è Amore per e nel mondo in cui ci muoviamo ed è meraviglia delle meraviglie, impronta dell’Amore e della Sapienza di Dio, quello Divino per noi, Sue creature, l’Agape, non è definibile né misurabile ed è di un’altezza e di una sublimità ineffabili e incomprensibili al pensiero umano. È scritto che è più facile amare chi vediamo che non Dio che non vediamo; ed è vero!. Ma l’esercizio continuo del primo ci raffina l’anima e lo spirito ch’è in noi, il quale cresce e si espande senza pausa aprendosi così all’abbraccio caldo dello Spirito Santo Trinitario che è Emanazione Benefica di Dio e del Verbo ed è Dio Egli Stesso. Tanto più si espanderà la nostra anima tanto più Amore del Padre Nostro potrà contenere (Sant’Agostino). E allora amare Dio, Gesù Cristo e lo Spirito Santo diviene facile, più facile che amare i simili e il mondo che vediamo perché Egli non ci delude mai se avremo l’Intelligenza di non pretendere quello che chiediamo: questa è la prova più severa cui ci sottopone il Padre Celeste affinché non nasca e cresca in noi l’orgoglio, ma invece l’Umiltà e la Mansuetudine unite al vero Amore ci guidino a non chiedere benefici soprattutto Pag. 1 di 7 spirituali e non futili per noi stessi ma solo per gli altri che diciamo di amare. Le nostre preghiere siano dunque colme di invocazioni per chi amiamo ma anche per chi non ci ama: il Signore ci amerà di Amore Perfetto! La Fede è, infine, l’atto d’Amore più sublime che possiamo avere e manifestare nell’attuale condizione terrestre perché ci conduce all’amore del Dio che non si vede con gli occhi del corpo, ma sì, invece, con quelli dello spirito. Mantenere e coltivare la Fede come una piantina fragile ma bellissima, profumatissima, bisognosa di attenzioni continue e di cure perché possa crescere e rivelare il Volto del Signore. Sant’Agostino ha scritto (Dai «Trattati sulla prima lettera di Giovanni»; Tratt. 4, 6;): “… Infatti cosa ha rivelato lo stesso Giovanni a paragone di Colui Che È, o che cosa possiamo dire noi creature che siamo così lontane dalla sua grandezza? Ritorniamo perciò a soffermarci sulla sua unzione, su quella unzione che ci insegna interiormente quanto non siamo capaci di esprimere in parole. E poiché ora non potete avere questa visione, vostro compito è desiderarla. L'intera vita del fervente cristiano è un santo desiderio. Ciò che poi desideri, ancora non lo vedi, ma vivendo di sante aspirazioni ti rendi capace di essere riempito quando arriverà il tempo della visione. Se tu devi riempire un recipiente e sai che sarà molto abbondante quanto ti verrà dato, cerchi di aumentare la capacità del sacco, dell'otre o di qualsiasi altro contenitore adottato. Ampliandolo lo rendi più capace. Allo stesso modo si comporta Dio. Facendoci attendere, intensifica il nostro desiderio, col desiderio dilata l'animo e, dilatandolo, lo rende più capace. Cerchiamo, quindi, di vivere in un clima di desiderio perché dobbiamo essere riempiti. […] Allora che cosa fai in questa vita, se non sei arrivato alla pienezza del desiderio? «Questo soltanto so: Dimentico del passato e proteso verso il futuro, corro verso la meta per arrivare al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù» (Fil 3, 13-14). Paolo ha dichiarato di essere proteso verso il futuro e di tendervi pienamente. Era consapevole di non essere ancora capace di ricevere «quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo» (1 Cor 2, 9). La nostra vita è una ginnastica del desiderio. Il santo desiderio sarà tanto più efficace quanto più strapperemo le radici della vanità ai nostri desideri. Già abbiamo detto altre volte che per essere riempiti bisogna prima svuotarsi. Tu devi essere riempito dal bene, e quindi devi liberarti dal male. Supponi che Dio voglia riempirti di miele? Se sei pieno di aceto, dove metterai il miele? Bisogna liberare il vaso da quello che conteneva, anzi occorre pulirlo. Bisogna pulirlo magari con fatica e impegno, se occorre, perché sia idoneo a ricevere qualche cosa.” Amare è la facoltà più bella e profonda che mi hai donato o Signore, quella che più mi rende simile a Te: come Ti posso ringraziare se non amandoTi nella piena e cosciente volontà di ricambiare come meglio posso il Bene che mi dai? Ora Ti posso amare per quello che m’hai dato e che continui a donare a me e a tutte le Tue creature, ed è un’enormità; ma cosa farai avvenire in me perché il mio piccolo e opaco cuore sia veramente simile al Tuo incandescente d’Amore? Salmo Responsoriale - Dal Salmo 102 - Il Signore è buono e grande nell'amore. B enedici il Signore, anima mia, quanto è in me benedica il suo santo nome. Benedici il Signore, anima mia, non dimenticare tutti i suoi benefici. Egli perdona tutte le tue colpe, guarisce tutte le tue infermità, salva dalla fossa la tua vita, ti circonda di bontà e misericordia. Misericordioso e pietoso è il Signore, lento all’ira e grande nell’amore. Non ci tratta secondo i nostri peccati e non ci ripaga secondo le nostre colpe. Quanto dista l’oriente dall’occidente, così egli allontana da noi le nostre colpe. Come è tenero un padre verso i figli, così il Signore è tenero verso quelli che lo temono. “Quanto è in me benedica il Suo Nome”: ogni mio pensiero è rivolto a Te o mio Misericordioso ed Eccelso Unico Dio! La Tua Grandezza e la Tua Maestà, la Tua Intelligenza e la Tua Bellezza sono tali da spaventare chiunque per l’impossibilità del nostro piccolo pensiero di comprenderTi: questo è «il timore di Dio». Tu infatti, Energia Santa d’Amore, non puoi essere temuto da chi è oggetto del Tuo Bene e da chi Ti desidera di essere al Tuo Cospetto per l’eternità. Chi, come Te sa perdonare persino la negazione d’Amore che è Tua Essenza? Chi non sa amare suscita non il Tuo disprezzo ma la Tua Pietà perché so che non puoi permettere che l’amata creatura sia priva di Te, del Bene Primo! La vita che m’hai donato è bella anche quando soffro e mi sento infelice ma non riesco a capire cosa sarà la vita dello spirito dopo la fine dei sensi e per questo Pag. 2 di 7 motivo mi sento straniero in questo mondo reso volgare e cattivo quando non è l’Amore a prevalere fra noi! Donami Forza e Perseveranza perché sappia attendere nella gioia il giorno felice quando mi ammetterai al Tuo Cospetto e mi mostrerai il Tuo Volto Radioso: tanta immensa Grazia non mi lascerà morire in eterno, come temo, per la gioia incontenibile e insostenibile dalla mia misera mente e dal mio gracile petto. Per Tua sola Generosità sarò Santo pur sapendomi indegno solo di nominarTi: se avverrà tale portento che desidero sopra ogni cosa donami la voce giusta per cantare in eterno la Tua Lode che sopravanzerà ogni desiderio mai immaginato! Ora, finché sarò ancora quaggiù davanti al Tuo Altare rendimi strumento ancora della Tua Parola! Seconda Lettura - Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi 1Cor 3, 16-23 - Tutto è vostro, ma voi siete di Cristo, e Cristo è di Dio. Fratelli, non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui. Perché santo è il tempio di Dio, che siete voi. Nessuno si illuda. Se qualcuno tra voi si crede un sapiente in questo mondo, si faccia stolto per diventare sapiente, perché la sapienza di questo mondo è stoltezza davanti a Dio. Sta scritto infatti: «Egli fa cadere i sapienti per mezzo della loro astuzia». E ancora: «Il Signore sa che i progetti dei sapienti sono vani». Quindi nessuno ponga il suo vanto negli uomini, perché tutto è vostro: Paolo, Apollo, Cefa, il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro: tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio. Se veramente ci convincessimo e tenessimo a mente di essere Tempio di Dio nessun credente non dico non oserebbe fare del male a chicchessia, ma ricoprirebbe il prossimo di Amore come vuole il Signore. Ma questo è veramente arduo, molto. La carnalità, l’emotività delle passioni, la petulanza, l’orgoglio, l’insofferenza, l’irascibilità, la riluttanza al perdono, il desiderio di vendetta, l’invidia, il senso personalizzato della giustizia e ancora altre motivazioni che molto spesso riteniamo legittime ci impediscono di amare chi ci ha nociuto e non solo essi. E questa purtroppo è una caratteristica comune a tutti noi, salvo rarissime eccezioni come quelle dei Santi. Eppure anche Pietro e Paolo (e non solo loro) discussero animatamente anche se per motivi di fede ed è verosimile pensare che non fossero molto equilibrati nei loro accesi contrasti. Ma certamente, raffreddati i bollori del sangue, si rappacificarono in nome del Signore che non ha mai maledetto i Suoi persecutori, anzi li ha perdonati perfino sulla croce. Ne abbiamo parlato altre volte. Secondo la mia esperienza di vita non v’è altra possibilità se non perdonare -che è una forma d’amore- in Cristo Nostro Signore. San Paolo ha scritto (Rm 7, 14-25): “Sappiamo infatti che la Legge è spirituale, mentre io sono carnale, venduto come schiavo del peccato. Non riesco a capire ciò che faccio: infatti io faccio non quello che voglio, ma quello che detesto. Ora, se faccio quello che non voglio, riconosco che la Legge è buona; quindi non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me. Io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene: in me c'è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio. Ora, se faccio quello che non voglio, non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me. Dunque io trovo in me questa legge: quando voglio fare il bene, il male è accanto a me. Infatti nel mio intimo acconsento alla legge di Dio, ma nelle mie membra vedo un'altra legge, che combatte contro la legge della mia ragione e mi rende schiavo della legge del peccato, che è nelle mie membra. Me infelice! Chi mi libererà da questo corpo di morte? Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore! Io dunque, con la mia ragione, servo la legge di Dio, con la mia carne invece la legge del peccato.” Ma in Cristo tutto è possibile, in Lui si trovano energie, intelligenza e sentimenti inaspettati. Poi qualcosa possiamo fare: ripudiare il male almeno come intenzione santa. Se non riusciamo ad amare il prossimo evitiamo però in ogni modo di odiarlo mettendoci -ove possibile- in condizioni di non divenire oggetto di attacchi maligni, di non suscitare e attirare gli strali dei malvagi con un comportamento prudente. Ma ritornando alla frase iniziale della pericope paolina, Dio ci tenga lontani dal fare del male a qualcuno, anche se costui ha nociuto a noi o alla nostra famiglia. Agendo diversamente significa che non vogliamo essere figli di Dio, che non sopportiamo i Suoi desideri, ma siamo schiavi della vendetta. E non dimentichiamo mai che il male non è solo quello corporale, anzi spesso il male di tipo morale o spirituale può veramente uccidere una persona sia fisicamente che nella personalità e nello spirito. Pag. 3 di 7 Canto al Vangelo - 1Gv 2, 5 Alleluia, alleluia. Chi osserva la parola di Gesù Cristo, in lui l’amore di Dio è veramente perfetto. Alleluia. Dal vangelo secondo Matteo - Mt 5, 38-48 - Amate i vostri nemici. In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Avete inteso che fu detto: “Occhio per occhio e dente per dente”. Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu porgigli anche l’altra, e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due. Da’ a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle. Avete inteso che fu detto: “Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico”. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste». Come è arduo mettere in atto le predicazioni di questa pericope evangelica. La chiave di lettura del brano è, a mio parere, nell’ultima frase: “Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste.” E a sua volta tale predicato di Gesù è indispensabile affinché dall’ideale proposto possiamo trarre almeno qualche frutto visto che la perfezione non è del genere umano; tendere alla perfezione è muoversi nel giusto. La predicazione inizia con il comandamento “… vi dico di non opporvi al malvagio …” Porgere l’altra guancia è il gesto estremo della perfezione, quello che conduce direttamente alla Santità perché presuppone l’inibizione del potentissimo istinto di conservazione che è proprio degli esseri viventi. È il modo estremo e l’antidoto contro la logica del «male contro il male», dell’«Occhio per occhio e dente per dente». Un altro: “… Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano… “ ne abbiamo parlato sopra e lo ripeto questo è il modo più semplice ed efficace di perdonare, pregare che il persecutore si ravveda e salvi la propria anima. “Egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti.” Questa è la rassicurazione e la pacificazione della mente e dell’anima per chi sa subire e pazientare senza ricambiare male con male; occorre lasciare a Dio, al Giudice Giusto e Ineludibile, che il redde rationem lo faccia Lui e solo Lui che SA senza bisogno di testimonianze e senza possibilità di errore. Demandare tutto a Lui ed essere convinti della Sua Giustizia e della Sua Infallibilità è il modo per non sconfinare nella vendetta e nella maledizione. Signore Buono e Giusto non ci lasciare mai soli nei momenti difficili della nostra faticosa esistenza perché la debolezza della nostra volontà nel raggiungimento del Bene soccombe difronte all’istinto bestiale di restituire male al male. Il Tuo Spirito Santo ci protegga come l’abbraccio caldo e amoroso della mamma al proprio nato. Pag. 4 di 7 Di William Holman Hunt (Londra 1827, 1910) Figura 1 - La Luce del Mondo; 1851-56; William Holman Hunt; Manchester Art Gallery; olio su tela; 77 x 54 cm. Pag. 5 di 7 A metà dell’Ottocento in Inghilterra avviene un’ulteriore esperienza romantica ad opera di un gruppo di giovani studenti, meno che trentenni, della Royal Academy; essi contestano decisamente l’arte dominante scaduta ad un livello di vuoto esercizio pittorico, ad un mero aneddotismo utilitaristico e pertanto privato di ogni aspirazione estetica. Fu espressione del disagio verso l’industria considerata negatrice della creatività individuale. Effettivamente l’arte era ormai inadeguata perché espressione dell’arretratezza sociale e culturale nonché ipocrita del moralismo vittoriano: il suo sfondo sociale era il contesto dello sfruttamento becero delle classi lavoratrici in nome del progresso industriale che fece sì arricchire la borghesia da un punto di vista economico, ma la abbassò inesorabilmente dal punto di vista culturale e morale. Il gruppo costituì la “Confraternita dei Preraffaelliti”. L’anno di riferimento era il 1848, coincidente con i Moti del ’48 o Primavera dei popoli che sconvolse mezza Europa dopo la Restaurazione delle monarchie retrograde. Il gruppo era costituito da William Holman Hunt , John Everett Millais, Edward Burne-Jones, Dante Gabriel Rossetti (di padre italiano e mazziniano). John Ruskin, autorità culturale dell’epoca, fu il consigliere e l’amico del gruppo. Con la pubblicazione del suo libro Modern Painters egli affermò che la natura è evidente manifestazione di Dio, della Sua Bellezza, della Sua Carità e che compito dell’artista è di rivelarlo a tutti e così mostrare e sollecitare le ricchezze spirituali che il Signore Stesso ci ha donato. Evidente è dunque l’impostazione religiosa dell’arte di questo singolare gruppo che, com’era da aspettarselo, fu fortemente contrastato e criticato da un’ampia cerchia di critici inglesi. Non stupisce dunque che il modello dei componenti del gruppo dovesse essere la forte spiritualità medievale -definita età d’oro- e in particolare quella del periodo gotico. Da qui il nome che si scelsero di Preraffaelliti intendendo con esso che volevano ritornare al periodo e alle esperienze artistiche precedenti all’avvento di Raffaello e di Michelangelo ritenuti rappresentanti massimi della decadenza di quella purezza e semplicità che avevano caratterizzato gli artisti del Medioevo e del Quattrocento. In questi ultimi ravvisavano nell’operare pittorico la coesistenza di cultura e di artigianato. Dunque ambizioso era il loro intento e il loro programma, quello di rialzare il decadimento dell’ipocrita società vittoriana e restituire al lavoro manuale, in cui è compresa l’arte, la più alta dignità, considerandolo addirittura strumento di salvezza e come tale degno di essere favorito e sostenuto dallo Stato, come tutta l’istruzione in genere. Il dipinto proposto, La Luce del Mondo, di William Holman Hunt, è un’immagine simbolica e mistica come quasi tutte le pitture a tema religioso. In un chiarore naturale quasi del tutto spento e che precede la notte appare Cristo che porta una lanterna irradiante una luce che va a rivelare soprattutto la porta di una casetta a lato cui il Signore bussa con le nocche della mano; essa non possiede una maniglia ed è coper- ta da piante spontanee -minuziosamente e realisticamente descritte- che ci fanno dedurre che non viene aperta da tempo. Dunque la porta può essere aperta solo dall’interno; il padrone di casa è ostile a ricevere visite, non desidera comunicare. Il Volto di Gesù riceve solo un blando chiarore che a stento mostra i Suoi lineamenti resi più indefiniti dal controluce dovuto alla grande aureola, quasi una luna piena, contro la quale spicca la corona, connubio fra il simbolo regale dell’autorità e la corona di spine della passione. Ma regale è anche la clamide, un sontuoso mantello con l’interno di porpora, trattenuto sul petto da una vistosa fibbia impreziosita da numerose pietre frammiste a magnifici ricami. La veste sotto il mantello è invece semplicissima, una tunica lunga fino ai piedi senza splendori di ricami o d’altri decori, segno d’umiltà, due simboli: Cristo Re dell’Universo e Cristo-Dio divenuto umile uomo. La Sua lanterna porta la Luce della Verità e viene offerta a chi è lontano e ha chiuso da tempo la sua porta, la comunicazione con il Soprannaturale che umilmente è Lui che viene a cercarci, a bussare alla porta della nostra anima. Il suo sguardo è pensieroso, come quello di chi teme di non ricevere risposta; sullo sfondo alberi quasi secchi alludono alla povertà spirituale di tanta parte dell’umanità che il Signore vuole salvare. La figura è stante, quasi immobile; è presentata frontalmente e ricorda per tali aspetti l’iconografia medievale. Si propone come un’apparizione che ricerca fortemente di suscitare l’interesse verso la Trascendenza del Cristianesimo. Proprio quell’immobilità, lo sguardo rivolto altrove, il paesaggio quasi notturno e la condensazione della luce circoscritta al primo piano conferiscono all’immagine il fascino misterioso di una verità traslata con rimandi molteplici e difficilmente esprimibili a parole. La nitidezza e lo splendore della luce, tipica dei Preraffaelliti è indice, secondo Ruskin, del modernismo del gruppo in opposizione alle luci soffuse dei pittori accademici. Il dipinto fu replicato alla fine della vita del pittore a grandezza naturale ed ebbe un successo enorme non solo in Inghilterra ma anche nelle numerose esposizioni in diversi Paesi. Il dipinto e il suo titolo mi ricordano inevitabilmente la poesia di G. Pascoli “…Io sono la lampada ch’arde soave…” tratta dai Canti di Castelvecchio e di cui riporto due strofe: “… Se già non la lampada io sia, che oscilla davanti a una dolce Maria, vivendo dell'umile stilla di cento capanne: raccolgo l'uguale tributo d'ulivo da tutta la villa, e il saluto del colle sassoso e del rivo sonante di canne: e incende, il mio raggio, di sera, tra l'ombra di mesta viola, nel ciglio che prega e dispera, la povera lagrima sola; e muore, nei lucidi albori, tremando, il mio pallido raggio, tra cori di vergini e fiori Pag. 6 di 7 di maggio….” […] “Io sono la lampada ch'arde soave ! nell'ore più sole e più tarde, nell'ombra più mesta, più grave, più buona, o fratello! Ch'io penda sul capo a fanciulla che pensa, su madre che prega, su culla che piange, su garrula mensa, su tacito avello; lontano risplende l'ardore mio casto all'errante che trita notturno, piangendo nel cuore, la pallida via della vita: s'arresta; ma vede il mio raggio, che gli arde nell'anima blando: riprende l'oscuro viaggio cantando.” […] E dall’Apocalisse (Ap 3, 20-22): “Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me. Il vincitore lo farò sedere presso di me, sul mio trono, come io ho vinto e mi sono assiso presso il Padre mio sul suo trono. Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese.” Giorgio Obl OSB -Nihil amori Christi praeponere18 feb 2017 - Questo e altri scritti sono pubblicati sul sito www.giorgiopapale.it Pag. 7 di 7